Giorgio Vecchio, "Don Orione e la politica del suo tempo" in Aa.Vv., "San Luigi Orione: da Tortona al mondo". Atti del Convegno di studi, Tortona, 14-16 marzo 2003, ed. Vita e Pensiero, Milano, p.188-198.
Tutta l’ultima parte della vita di don Orione – fino alla sua morte nella primavera del 1940 – fu contrassegnata non solo dallo straordinario sviluppo delle sue opere e dalla crescente devozione di potenti e di poveri verso la sua figura, ma anche dalla necessità di convivere con il regime fascista. Le caratteristiche profonde di questa convivenza, le condivisioni ideali e le opposizioni segrete, gli adattamenti forzati o spontanei sono tutti da verificare. Ciò anche perché si trovano con gran facilità giudizi assolutamente contrastanti.
Si confrontino le citazioni seguenti: «Se nella sua prudenza [don Orione] evitò atteggiamenti esteriori che avrebbero potuto compromettere la causa del bene e dei poveri, non fece mai mistero coi suoi, dei suoi sentimenti antifascisti, ed ebbe spesso parole forti contro le violenze e le ingiustizie commesse da Mussolini contro la S. Sede e la Chiesa» (don Giuseppe Zambarbieri)[1]. «L’ho apprezzato nelle solide virtù italiane e più strettamente piemontesi, nell’ardente amor di Patria, nella totale adesione al Regime fascista, nella devozione alla gloriosa dinastia di Savoia» (Cesare De Vecchi)[2].
A chi dar credito? La risposta che si può abbozzare è che entrambi questi testimoni coglievano una parte di verità, l’uno nella sfera del privato, l’altro in quella pubblica. Don Orione, come tanti altri (vescovi, preti, religiosi, laici) manteneva nel suo intimo una profonda riserva ideale contro il fascismo, ma al tempo stesso ne accettava il principio di autorità, le manifestazioni di rispetto della Chiesa e, soprattutto, l’identificazione tra fascismo e patriottismo che abilmente il regime aveva saputo propagandare. Nella cultura cattolica degli anni Venti e Trenta tornavano dunque a pesare quegli elementi della formazione intransigente ottocentesca che abbiamo prima ricordato. Al tempo stesso la radicata ostilità cattolica al socialismo e al comunismo – accentuata dal clima di violenza prerivoluzionaria del biennio rosso 1919-1920 (che don Orione aveva visto da vicino nella sua Tortona) – facilitava la concessione al fascismo di titoli di merito patriottico, mentre la tradizionale freddezza verso la democrazia rappresentativa e i suoi strumenti non faceva rimpiangere più di tanto il crollo delle istituzioni parlamentari liberali.
In questo clima operava don Orione e anche per lui devono valere le cautele interpretative, evitando di pretendere risposte univoche: il prete tortonese si muoveva per la sua strada e dunque suonano alquanto improbabili giudizi netti su ‘don Orione antifascista’ o, viceversa ‘don Orione fascista’. Non fu né l’uno né l’altro o – se si preferisce – fu contemporaneamente entrambe le cose, perché il centro dei suoi pensieri era altrove: il ministero sacerdotale, gli interessi della Chiesa, il servizio ai poveri.[3]
Anche all’interno del ventennio fascista – di cui peraltro egli non vide la fine – don Orione fu fedele al suo metodo di coltivare anzitutto i rapporti personali con i singoli protagonisti. Ciò avvenne in particolare con il già citato De Vecchi di Val Cismon, poi con Ferruccio Lantini, Luigi Federzoni, nonché con quegli esponenti cattolici più vicini al fascismo come il pure già citato Stefano Cavazzoni.
Con De Vecchi di Val Cismon i contatti furono alquanto frequenti, facilitati forse anche dalle comuni origini piemontesi. De Vecchi espresse reiteratamente la sua ammirazione e il suo sostegno alle opere di don Orione: «Seguo con molto interesse la sua Cristiana e amorosa opera patriottica da Lei svolta lontano dalla Patria», gli scriveva il 16 aprile 1936, mentre De Vecchi era ministro dell’Educazione Nazionale e don Orione si trovava in Argentina[4]. Con Ferruccio Lantini, ministro delle Corporazioni dal 1936 al 1939 e presidente dell’Istituto nazionale fascista della Previdenza Sociale dal 1939 al 1943, don Orione scambiò numerose lettere. Dal canto suo Lantini sostenne don Orione e le sue opere e si appoggiò in vario modo a lui e ai suoi successori anche durante gli anni del secondo conflitto mondiale. Merita di essere ricordato un biglietto, datato ‘Santo Stefano 1943’, quindi in piena epoca di caccia nazifascista agli ebrei, con il quale Lantini affidava a don Piccinini una certa signora Ottolenghi, ebrea: «Soltanto che la cosa è di ora in ora più urgente. Questi sventurati sono cari amici nostri. Ci piange il cuore di vederli in quelle condizioni. Siamo certi che Voi farete tutto il possibile per metterli in condizioni di avere un poco di sollievo»[5]. Gli orionini e lo stesso don Piccinini si mossero poi per difendere Lantini al momento del suo arresto e del processo ordinato dall’Alto Commissariato per la punizione dei delitti fascisti[6]. Luigi Federzoni, altra figura di spicco del ventennio, dopo la morte di don Orione scrisse a don Piccinini, che lo aveva invitato a tenere una commemorazione dello scomparso, parlando di «santo Amico» e annunciando, che non potendo accettare tale invito, avrebbe pubblicato sulla «Nuova Antologia» alcune pagine inedite di don Orione[7].
Parecchie autorità del regime parteciparono ogni volta alle manifestazioni e alle cerimonie ufficiali promosse da don Orione, magari per la solenne inaugurazione di una nuova casa o di una nuova iniziativa. Basta sfogliare le annate della rivista orionina per rendersi conto del clima amichevole che si era instaurato. Un solo esempio, tra i tanti: quando nel 1938 fu inaugurato a Roma l’istituto S. Filippo Neri erano presenti Lantini, Federzoni, Cavazzoni, Boggiano Pico, Montresor[8].
Va detto che don Orione usò questi suoi legami anche per perorare la causa di persone malviste dal regime. In una sua lettera del 28 marzo 1931, indirizzata al segretario federale del PNF di Alessandria, Natale Cerruti, egli prese le difese di Ettore Gilardini, allora segretario provvisorio del Comune di Tortona, il cui ingresso in ruolo era bloccato dal suo passato politico. Don Orione ammise che il Gilardini era stato davvero sostenitore «dei movimenti demagogici di allora», ma ne mise in rilievo le doti, la non adesione formale al partito socialista e soprattutto il fatto che le opposizioni verso di lui nascevano da inimicizie personali in quel di Ovada.
In questo quadro si situa il ‘mancato’ incontro personale con Benito Mussolini, anche se tra i due vi furono contatti epistolari e tramite intermediari. Agli inizi del regime don Orione puntò molto, anche per i rapporti da intrattenere con il ministero della Pubblica Istruzione, su don Brizio Casciola, giudicandolo persona che poteva rendere preziosi servizi alla S. Sede «data la sua intimità con Mussolini, e l’ascendente che ha su di lui e su alcuni uomini del Governo. La sua relazione con Mussolini data da anni ed egli può su Mussolini molto, ma molto più che non potesse Semeria su Cadorna»[9].
Un incontro di Don Orione con Mussolini di cui si ha notizia sicura è quello riportato dalla Gazzetta del Popolo di Torino del Tortona, avvenuta nel 1924: “6 settembre, notte. In questi giorni l’on. Mussolini si è intrattenuto con don Luigi Orione, il notissimo filantropo e padre dei poveri e degli orfani, e gli ha affidato di creare, nel più breve tempo possibile, una colonia agricola italiana pro orfani nell’isola di Rodi, donandogli un milione e mezzo di lire per le spese. Il terreno è dato dall’Italica Gens e l’iniziativa ha pure l’appoggio del sovrano militare Ordine di Malta: Il Prof. don Vittorio Gatti ha subito raggiunto Rodi onde intendersi con quelle autorità civili e militari”.[10]
Personalmente don Orione scrisse al Duce in diverse circostanze, ma per lo più, per sollecitare la soluzione di problemi concreti: il 21 giugno 1930 in favore della parificazione dell’Istituto Tecnico S. Giorgio di Novi Ligure, dove insegnava anche don Brizio Casciola e dove gli alunni erano «tutti iscritti nelle Associazioni giovanili fasciste»; il 16 novembre 1931 per chiedere la concessione in enfiteusi dell’ex convento di via Labicana a Roma. Totalmente assenti, in queste lettere, temi anche solo lontanamente politici[11].
Fu in questo periodo che don Orione si pose il problema di come favorire la Conciliazione tra Chiesa e Stato, con l’ormai nota lettera indirizzata a Mussolini, datata 22 settembre 1926. La lettera conteneva riconoscimenti e benedizioni ormai rituali: «Iddio le ha messo in mano un potere che, forse, nessuno ebbe l’uguale in Italia. e Vostra Eccellenza ha fatto molto. Il cielo la conservi a compiere la provvidenziale missione che Le ha dato». Seguiva però l’esplicito invito a operare per porre fine all’«amaro e funesto dissidio che è tra la Chiesa e lo Stato», chiedendo al governo di «stendere nobilmente la mano al vinto», sicuro che la Chiesa si sarebbe dichiarata disponibile «ad un componimento»[12].
Le trattative tra le due parti erano comunque già state avviate, con la fase apertasi proprio nell’agosto 1926 tra Francesco Pacelli e Domenico Barone e poi chiusa ai primi di dicembre 1928. Si può pensare che don Orione intendesse rafforzare le speranze di una felice conclusione dei colloqui appena iniziati. Ma si deve pure ricordare che il suo interesse per una possibile Conciliazione era datato. Don Minozzi ha ricordato al riguardo un incontro a Roma, del 17 gennaio 1923, con la presenza anche di don Orione, di p. Genocchi, di p. Semeria e di Fulvio Milani, in quel momento sottosegretario alla Giustizia nel primo governo Mussolini, incontro cui seguì quello tra Mussolini e Gasparri di due giorni dopo[13]. Resta da capire la reale portata di tali iniziative orionine: per quanto riguarda Mussolini risulta che aveva già mosso le acque nel novembre 1922[14].
Come tanti altri cattolici, don Orione non lesinò poi ringraziamenti alla Provvidenza in occasione dei falliti attentati a Mussolini dell’autunno 1926, che diedero al governo la motivazione finale per mettere fuori legge ogni forma di opposizione. È noto, tra l’altro, che l’11 settembre 1926 l’anarchico Gino Lucetti lanciò una bomba a Roma contro l’auto che trasportava Mussolini a Palazzo Chigi. Il dittatore rimase illeso, mentre ci furono otto feriti. Il commento di don Orione fu una dura denuncia in difesa della vita umana, senza peraltro parole di eccessiva esaltazione del Duce, come avvenne su gran parte della stampa. Quella cattolica, in particolare, elevò ancor più inni di ringraziamento a Dio specie in seguito al successivo attentato, quello di Bologna del 31 ottobre successivo, che provocò il linciaggio del giovanissimo Anteo Zamboni e diede appunto il motivo per la stretta finale contro i partiti e la stampa antifascista. Per don Orione l’attentato costituiva un «disonore» per l’Italia e andava assolutamente deplorato, «fosse anche stato un uomo senza onore» la vittima. Coraggiosamente il prete di Tortona ricordò nella circostanza la figura di Matteotti, deplorandone la morte violenta. E ringraziò la Provvidenza per aver evitato, con la salvezza di Mussolini, una possibile guerra civile in Italia[15]. Un altro appunto di don Orione, scritto forse in seguito allo stesso episodio o ad altro analogo, afferma che Mussolini era sfuggito a un attentato «che tutti deploriamo», aggiungendo che era bello sentire anche gli organi di stampa affermare che evidentemente il capo del governo era protetto dalla Divina Provvidenza, e concludendo: «Quando mai, prima, si sarebbe parlato così?»[16].
Malgrado tutte queste relazioni personali, spesso anche gratificanti, don Orione stesso, in colloqui con i propri confratelli, accennò più volte a pedinamenti, discriminazioni, piccole ‘vendette’ (per esempio il mancato rinnovo di un permesso di viaggio gratuito sui treni), e così via. Dopo la Conciliazione e i fatti del 1931, don Orione ribadì la netta differenza tra la sua azione e la politica: «La nostra politica, lo ripeto, dev’essere la politica del Pater Noster. Stiamo nel puro campo religioso e non vogliamo, a qualunque costo, sconfinare».[17]
In quel momento, ovviamente, il monito assumeva un preciso significato: quello di mantenere le distanze dalle forme più estreme di identificazione con il regime. Nell’occasione don Orione mise pure in guardia i suoi confratelli, dicendo che erano pedinati e accennando a circolari riservate di cui aveva avuto visione; consigliò addirittura di non fidarsi neppure dei preti, esistendo alcuni di loro che informavano il regime; accennò infine persino a microfoni nascosti.[18] Secondo don Luigi Orlandi, don Orione fu pedinato dalla questura in seguito a una lettera di protesta scritta a Mussolini dopo il suo discorso sui Patti Lateranensi[19] oppure durante la crisi del 1931. Per don Luigi Piccardo, don Orione scrisse effettivamente una lettera di critica a Mussolini e, dopo aver subito a Napoli il furto della valigia contenente la tessera di viaggio gratuita, non la riebbe per essersi negato agli inviti di chi gli chiedeva maggiore arrendevolezza verso il regime[20]. In un altro episodio, risalente al 1938, a chi gli chiedeva perché non possedesse più questa tessera gratuita, don Orione rispose di aver «peccato contro l’Olimpo», alludendo al fatto che si era sempre rifiutato di farsi paladino delle idee fasciste[21].
Senza voler minimamente mettere in dubbio la parola di don Orione, si tratta di verificare la fondatezza e la consistenza di tali notizie. Ma, per farlo, bisognerà esaminare in profondità i fondi custoditi negli archivi di Stato. Qualche primo rapido sondaggio, condotto sulle carte del Gabinetto di Prefettura di Alessandria degli anni Trenta, non ha offerto risultati significativi. Don Orione e le sue iniziative non risultano mai citati nelle relazioni sulle attività del clero preparate mensilmente dalle autorità di polizia. Va peraltro precisato che queste relazioni erano ora ripetitive ora burocraticamente concepite; in vari casi, tuttavia, la solerzia di chi le preparava consente agli storici di oggi di ricavare indicazioni molto utili, almeno sulla visione che gli organi dello Stato avevano della Chiesa e dei suoi rappresentanti. Non si può poi dimenticare il fatto che don Orione trascorse in quel decennio tre anni all’estero (1934-1937),[22] addirittura oltreoceano, così che il silenzio delle carte su di lui non stupisce del tutto.
Se si leggono questi testi, si ricava che anche ad Alessandria era rintracciabile un quadro di almeno apparente allineamento del vescovo e del clero al regime. Nell’aprile 1929, per esempio, il Prefetto di Alessandria comunicava ai suoi superiori di Roma che «In tutta la provincia sotto le direttive delle LL.EE. i Vescovi, tutto il clero ha svolto leale ed efficace opera di propaganda per il Plebiscito del 24 marzo u.s. Sia a mezzo stampa cattolica, sia in occasione di pubbliche e private riunioni, i parroci hanno chiarito l’importanza del Plebiscito invitando ciascun cattolico a compiere il proprio dovere. In tale propaganda si è maggiormente distinto il Vescovo di Tortona che ha pubblicato nel giornale ‘Il Popolo’ una sua lettera pastorale, nonché il clero di quella diocesi che dal pulpito ed individualmente ha svolto opera a favore del Plebiscito e ha ufficialmente fatto parte dei comitati elettorali. […] Con fascistici ossequi»[23].
Nel gennaio 1933 i Carabinieri comunicavano al prefetto che «S.E. Monsignor Grassi Pietro, vescovo di Tortona, ha sempre dimostrato sentimenti patriottici ed ammirazione per l’opera di ricostruzione del Regime. È peraltro in buoni rapporti con le autorità politiche locali, delle quali appoggia ogni sana iniziativa, non trascurando di coadiuvare il Partito nello sviluppo delle organizzazioni fasciste»[24].
Anche di fronte ad alcuni passaggi cruciali della storia di quegli anni non si registrarono dissensi particolari. Al momento dell’attacco italiano all’Etiopia la Questura di Alessandria segnalò che «il clero si è manifestato compreso nelle sue responsabilità. La stampa cattolica della provincia segue lo sviluppo degli avvenimenti con articoli improntati a sentimenti di patriottismo. […] In questo atteggiamento del clero e delle organizzazioni cattoliche, si ha da segnalare una funzione propiziatrice per la Patria e per le nostre Armi tenutasi il 6 ottobre a Tortona nel Duomo, ad iniziativa di quel Vescovo, mons. Egisto Melchiori, il quale ha pronunziato un nobilissimo discorso, invocando sull’Italia e sui suoi figli che combattono in Africa per la sua grandezza e per la sua potenza, la protezione celeste»[25].
A proposito delle leggi razziali del 1938, la Questura locale registrò con moderata soddisfazione che «Nei riguardi del problema razziale, non si sono avute da parte del clero della provincia manifestazioni scritte o verbali né in favore, né contrarie. Anche la stampa cattolica edita nella provincia non ha pubblicato articoli riferentesi a tale problema. Pur tuttavia bisogna riconoscere che l’atteggiamento del clero in merito è molto riservato e prudente»[26].
La stessa Questura ribadì un mese dopo che «Circa l’atteggiamento dei Sacerdoti e dei Vescovi non si hanno variazioni da segnalare. Esso appare sempre favorevole al Regime e al Fascismo. Nei riguardi della politica razziale del Governo Fascista non si sono avute manifestazioni ostili o comunque contrarie da parte di personalità ecclesiastiche. Si afferma che il Clero in generale dimostri di avere la comprensione della necessità dei provvedimenti presi dal Governo per la difesa della Razza Italiana, però non si può negare che il comportamento del Clero stesso appaia a questo proposito riservato. Infatti, al problema razziale non risulta essere stato fatto accenno durante prediche e funzioni religiose né consta che il problema stesso sia stato particolarmente trattato in ambienti ecclesiastici. Si è soltanto avuto sentore che alcuni sacerdoti avrebbero rilevato in materia di matrimonio che la Chiesa, in contrasto con quanto stabilisce l’art. del R.D.L. 19/11/1939 XVII n. 1728, non proibisce i matrimoni tra ebraici e cattolici, quando gli sposi si impegnino di fare battezzare i figli nascituri secondo il rito cattolico»[27].
In attesa dunque di precisazioni sulle forme di sorveglianza adottate dal regime nei confronti di don Orione, si può per il momento aggiungere che una tale sorveglianza si poteva benissimo giustificare, sia per l’inveterata abitudine di Mussolini e del regime di controllare tutto e tutti, anche spingendo gli italiani e le italiane a farsi spie[28], sia perché don Orione, almeno in privato, si lasciava andare a giudizi piuttosto taglienti sul fascismo. Anche su questo aspetto, però, bisogna nuovamente essere cauti, visto che ci si deve basare solo sulle testimonianze di collaboratori e discepoli, più che su documenti scritti e diretti. Diverse affermazioni, in casi del genere, finiscono per essere condizionate, in perfetta buona fede, da ricordi successivi o da sentimenti di affetto o di gratitudine.
Tra questi ricordi stanno quelli di don Orlandi che, riferendosi alla già ricordata lettera di protesta inviata direttamente a Mussolini, afferma che don Orione in privato tra i suoi sacerdoti criticò gli stessi vescovi che nella circostanza avevano taciuto, dicendo che a leggere il testo del discorso del Duce gli veniva da piangere: «I 280 Vescovi d’Italia e il Papa hanno visto negare la divinità della Chiesa e sono stati zitti… In che terribile decadenza ci troviamo: nei primi tempi si facevano martirizzare ed ora…»[29].
Il riferimento è evidentemente al discorso tenuto da Mussolini alla Camera il 14 maggio 1929. In esso il Duce aveva affermato che se la religione cristiana fosse rimasta in Palestina sarebbe diventata una delle tante sette del tempo e con ogni probabilità si sarebbe spenta da sola. Solo il trasferimento a Roma le aveva consegnato il suo carattere cattolico, universale[30]. Mussolini riprese poi il tema nel successivo discorso al Senato il 25 maggio, difendendosi dalle reazioni e chiarendo di aver voluto fare un discorso storico e di non voler escludere un «disegno divino» sulle sorti della Chiesa[31].
Un’altra testimonianza su don Orione si riferisce al 1934. In una riunione con i collaboratori il prete tortonese invitò a «non fare del fascismo fuori luogo», raccontando che: «La prima volta che mi sono presentato all’onorevole Parini, ho detto franco che io sono papista dalle unghie dei piedi fino alla punta dei capelli, ma che, nello stesso tempo, sentivo di avere il sangue italiano al cento per cento, e dissi: ‘Son figlio di un padre che fu volontario e che si batté per otto anni nelle guerre dell’Indipendenza e che non sono diventato patriota dopo che Mussolini è al potere, ma che lo ero prima che lui nascesse’»[32].
[1] ADO, cart. Giuseppe Zambarbieri.
[2] ADO, cart. De Vecchi (lettera 11 aprile 1940).
[3] L’interesse di Don Orione era soprattutto pastorale, rivolto al bene della gente e dei poveri, in particolare, estraneo alle questioni politiche come tali e tanto più partitiche. E’ rivelativa del suo atteggiamento una lettera al suo più stretto collaboratore, Don Carlo Sterpi, del 15 ottobre 1918: “Noi viviamo in tempi incerti, passionali e mutevoli assai: non intendo che le nostre opere di carità si attacchino agli uomini, né alle istituzioni politiche degli uomini e degli Stati, né alla politica dei tempi o degli uomini o ai partiti politici. Io rispetto tutti perché sono un cattolico, figlio della S. Chiesa Cattolica e devotissimo al Papa, e sento anche di molto amare la Patria, ma non voglio che il Governo entri nelle nostre opere di carità, perché le guasterebbe e snaturerebbe; abbiamo uno spirito totalmente diverso. Badate bene: non è affatto che io non voglia obbedire alle leggi del Governo, né mancare al debito ossequio alle Autorità Civili e politiche dello Stato, no, affatto! Voi sapete come tratto con le Autorità e come sempre mi sono prestato ove potei per compiacerle e aiutarle. Solo voglio essere liberissimo nel bene, mentre nulla tralascio per costituire d'amore e d'accordo con le autorità Ecclesiastiche e del Governo le nostre umili opere. Parola 13, 98. Tale atteggiamento tenne tenacemente anche durante il fascismo.
[4] ADO, fasc. De Vecchi di Val Cismon.
[5] ADO, fasc. Lantini. Sull’aiuto della congregazione agli ebrei si veda G. MARCHI – F. PELOSO, Orionini in aiuto degli ebrei negli anni dello sterminio, “Messaggi di Don Orione” 35(2003) n.112, pp.75-106.
[6] ADO, fasc. Lantini.
[7] Lettera 25 febbraio 1943, in ADO, fasc. Federzoni.
[8] Il nostro istituto romano ‘S. Filippo Neri’ inaugurato alla presenza degli eminentissimi cardinali Salotti e Boetto - L’intervento di S. E. Federzoni e del ministro Lantini, in «Piccola Opera della Divina Provvidenza», febbraio 1938.
[9] Lettera al card. Gasparri, 23 settembre 1923, Scritti 48, 65-66.
[10] “Gazzetta del Popolo”, di Torino, 7 settembre 1924, p.3. Di fatto, quell’istituzione a Rodi fu avviata nel 1925 e si chiuse nel 1949 in seguito alle mutate condizioni politiche.
[11] Le lettere si trovano in ADO, fasc. Mussolini.
[12] Lettera del 22 settembre 1926, Scritti 50, 65. Il contesto di questa lettera è ricostruito da F. PELOSO, Il contributo di don Orione per la Conciliazione del 1929, in «Nova Historica», 1 (2002), 1, pp. 31-48.
[13] P. Minozzi, Padre Genocchi e la Conciliazione nel trentennio dei Patti Lateranensi, in «La Sveglia», agosto 1959.
[14] F. MARGIOTTA BROGLIO, Italia e S. Sede dalla Grande Guerra alla Conciliazione. Aspetti politici e giuridici, Laterza, Bari 1966, pp. 107-110.
[15] “Noi come cristiani sappiamo che la vita umana è sacra. Così, fosse anche stato un semplice cittadino, invece del capo del Governo, ma che dico? Fosse stato anche un uomo senza onore, noi dobbiamo deplorare. La vita è sacra. Noi, come cristiani, dobbiamo deplorare l’atto criminoso, come deploriamo quelli che hanno assassinato Matteotti, perché la vita è sacra”; Discorso dell’11 settembre 1926; Parola III, 110.
[16] Copia in ADO, fasc. Mussolini, s.d.
[17] Alla dei sacerdoti del 27.8.1931, Riunioni 108.
[18] Ibid.
[19] Di questa lettera, ricordata più volte dai collaboratori di don Orione, non è stata al momento trovata traccia.
[20] Testimonianza di Luigi Piccardo in Positio, 564.
[21] Discorso del 18 aprile 1938, Parola VIII, 249. Cfr anche la testimonianza di don Luigi Orlandi, con una versione parzialmente diversa: don Orione sarebbe stato punito per essersi rifiutato di fare un giuramento di adesione al fascismo. In seguito a un primo sondaggio effettuato presso l’Archivio Centrale dello Stato, sono state reperite alcune lettere di don Orione al Ministro degli Interni, con cui si chiedeva il rinnovo della tessera ferroviaria (12 marzo 1928; 14 gennaio 1931). Esiste anche un appunto datato 19 gennaio 1930, favorevole alla concessione (ACS, SPD, Carteggio ordinario, b. 521913/1). Esiste poi una richiesta del Capo di Gabinetto del Ministero delle Comunicazioni, in data 8 agosto 1937, che chiede direttive riguardo a un’ulteriore richiesta di don Orione. In tal documento si precisa che il prete tortonese ebbe la tessera gratuita per gli anni dal 1928 al 1931 e che in seguito egli non fece più alcuna richiesta (ACS, Polizia politica, Fascicoli personali, b. 921, fasc. Orione don Luigi). Altri documenti potranno essere reperiti con ulteriori ricerche.
[22] Don Orione partì il 24 settembre 1934 per l’America Latina e ritornò il 24 agosto 1937; fu in Argentina, soprattutto, Brasile, Uruguay e Cile.
[23] Relazione del 5 aprile 1929, in Archivio di Stato di Alessandria (ASAl), Fondo Gabinetto di Prefettura (II versamento), b. 349, fasc. Relazioni sull’atteggiamento tenuto dagli ecclesiastici in occasione del plebiscito del 1929. Ringrazio il dott. Andrea Villa per tutte le segnalazioni dell’archivio alessandrino.
[24] Relazione del 31 gennaio 1933, in ASAl, Fondo Gabinetto di Prefettura (II versamento), b. 461, fasc. Attività del clero in provincia di Alessandria – Relazioni mensili (1933).
[25] Relazione del 4 novembre 1935, ibid.
[26] Relazione del 7 gennaio 1939, ibid. Su questi temi cfr ora G. VECCHIO, Antisemitismo e coscienza cristiana, in Chiesa, cultura ed educazione in Italia tra le due guerre, a cura di L. Pazzaglia, La Scuola, Brescia, 2003, pp. 435-470.
[27] Relazione sul mese di gennaio 1939, 6 febbraio 1939, in ASAl, Fondo Questura, b. 1, fasc.: Attività del clero. Relazioni mensili.
[28] Si veda il quadro – per certi versi - impressionante tracciato da M. FRANZINELLI, Delatori. Spie e confidenti anonimi: l’arma segreta del regime fascista, Mondadori, Milano 2001.
[29] ADO, cart. Luigi Orlandi.
[30] In Scritti e Discorsi di Benito Mussolini. Edizione definitiva. VII. Dal 1929 al 1931, Hoepli, Milano 1934, p. 34.
[31] Ibid., p. 108.
[32] Riunioni 148, 4 agosto 1934. Nel medesimo verbale di riunione si legge: “Per quello che riguarda i Segretari Politici ed il contatto con le Autorità, Don Bosco diceva: ‘Dobbiamo entrare con la loro, per uscire con la nostra’. Cercare che le relazioni siano sempre cordiali: non essere di quelli che strisciano”.