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Parrocchia Mater Dei.
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Nella foto: San Tarcisio

E' il patrono dei chierichetti. Fu ucciso mentre portava la comunione ai cristiani in carcere e nelle catacombe.

SAN TARCISIO

Tarcisio significa proveniente da Tarso, una città della Cilicia, nel sud della Turchia, a nord di Cipro.
Fu ucciso mentre portava la Comunione ai cristiani in carcere per la comunione, scoperto, strinse al petto l’Eucaristia, per non farla cadere in mani profane, ma non riuscendo a strappargliela, fu ucciso dai carnefici esasperati e feroci. La fonte storica è l’epigrafe posta da papa Damaso sul suo sepolcro, riprese successivamente da altri studiosi e inserite nel ‘Martirologio Romano’ fissando la sua morte al 15 agosto del 257 d.C.

 

Siamo nell'anno 257 dopo Cristo. Tarcisio era un ragazzo di una delle prime comunità cristiane di Roma, un ragazzo in gamba che aveva scoperto l’amore di Dio Padre che in Gesù colora la nostra vita dei colori del Cielo.

Egli ricevette i Sacramenti, nonostante essi si amministrassero solo agli adulti; prima del Battesimo la Chiesa prevedeva un periodo triennale (“Catecumenato”) di preparazione; dopo questi tre anni, i padrini garantivano le buone intenzioni del catecumeno, quindi si giungeva al Sacramento. Durante la Veglia Pasquale, come era usanza di allora, Tarcisio ricevette questi tre sacramenti, detti “dell’iniziazione cristiana”, ossia – appunto – il Battesimo, l’Eucaristia e la Confermazione. Divenne anche un accolito.

Negli anni dell’imperatore Valeriano (253 al 260) le persecuzioni erano veramente brutali ed era diventato assai arduo il compito dei Diaconi e degli Accoliti, che dovevano portare l’Eucaristia dalle Catacombe alle carceri e agli ammalati. Erano tempi davvero duri e, un giorno, il sacerdote della Catacomba di Tarcisio, dopo aver preparato il Pane per la distribuzione all’esterno, si guardò attorno per cercare qualcuno che si incaricasse di tale gravoso compito.

“Padre, manda me”. Una voce echeggia nella Catacomba; la voce è quella di un ragazzo, Tarcisio appunto, che si offre volontario. Alla protesta del sacerdote, che lo riteneva troppo giovane, egli rispose: “Padre mio, la mia giovane età sarà la miglior salvaguardia. Non negarmi questo onore, ti prego!”. Il dialogo si concluse poi così: “Tarcisio, ricordati che un tesoro è affidato alle tue deboli cure. Evita le vie frequentate e non dimenticare che le cose sante non devono essere gettate ai cani né le gemme ai porci. Custodirai con fedeltà e sicurezza i Sacri Misteri?”. “Morirò piuttosto di cederli”, fu la risposta di Tarcisio.

Tarcisio attraversò le vie della città, evitando sia i luoghi molto frequentati sia quelli troppo deserti. Tarcisio accelerava il passo. Non distava molto dal carcere: c’era soltanto da attraversare una grande piazza, dove alcuni ragazzi giocavano.

“Ci manca uno per completare la squadra (per il gioco)”, gridava il caporione, “come facciamo?”. Videro passare in quel momento Tarcisio, che era conosciuto da quei ragazzi, che però non sapevano che era un cristiano. Egli rifiutò l’invito a giocare perché doveva compiere questo delicato atto d’amore e, nonostante essi insistettero, egli stringeva le mani al petto e rifiutava ancora.

Ad un certo punto uno dei ragazzi si accorge che egli incrociava le mani e gli chiese cosa custodiva lì dentro. Egli strinse ancor più le sue mani, mentre gli altri cercavano di strappargliele, poi giunse un signore anziano che capì che era un cristiano che portava i Santi Misteri. Appena si seppe questo iniziò il pestaggio: il sangue di Tarcisio cominciò a spandersi su quel luogo, mentre ormai i colpi e i calci non si contavano più.

Giunse un erculeo ufficiale pretoriano di nome Quadrato, segretamente cristiano, che intimò a quelle canaglie di andarsene. Appena la piazza fu libera, si chinò sul morente Tarcisio che gli disse: “Io sto morendo, Quadrato, ma il Corpo del Signore è salvo! Ti prego, portami dal sacerdote!”. Giunto là, Tarcisio era già morto.
Subito le sue spoglie furono poste nelle stesse Catacombe di San Callisto, poi un’iscrizione ricorda il loro trasporto alla chiesa di San Silvestro in Campo, molto tempo dopo.

 

ALMIRO FACCENDA, il san Tarcisio delle Alpi

 

Siamo nel 1915 e da pochi mesi è iniziata la Prima guerra mondiale. Torcegno è un paese del Trentino e, come gran parte della regione, si ritrovò proprio lungo la linea di combattimento tra l’esercito austro-ungarico e quello italiano. Terra sotto il controllo di Vienna e che dunque vedeva in quella popolazione di lingua italiana un nemico. Ben presto iniziarono arresti e arruolamenti forzati. Non furono risparmiati neppure i sacerdoti. In pochi mesi per ben due volte Torcegno vide i propri parroci portati via dalla guardie austriache.

E fu proprio in occasione dell’internamento di don Guido Franzelli che avvenne l’episodio di cui l’allora bimbo di 7 anni, Almiro Faccenda, fu protagonista. Infatti il parroco poco prima di essere portato via si ricordò che nel tabernacolo vi erano molte Ostie consacrate. Convocò il sagrestano Giacomo Campestrin e gli disse che l’indomani mattina alle 5 avrebbe dovuto far distribuire la comunione a tutti i paesani per evitare possibili profanazioni da parte dell’esercito austriaco.

La scelta cadde su Almiro, che all’epoca aveva compiuto 7 anni (era nato il 21 ottobre 1908) e da poche settimane aveva ricevuto la sua Prima Comunione. E così mentre i gendarmi portavano via il parroco, il sagrestano si mise all’opera avvisando i compaesani e informando Almiro del compito che lo aspettava all’indomani.

«È difficile descrivere l’emozione di quegli istanti – raccontò poi Almiro, ricordando la mattina del 19 novembre 1915 nella chiesa di Torcegno –. Regnava un profondo, accorato silenzio. Salii su uno sgabello, aprii la porticina del tabernacolo, estrassi la pisside e, senza proferir parola, cominciai a distribuire le sacre specie. Tutti quelli che si sentivano in grazia di Dio, ed erano numerosi, fecero la santa Comunione. Ma poiché le particole erano molte, e bisognava consumarle tutte, passai e ripassai davanti ai medesimi comunicandi. Infine comunicai me stesso con due particole. Le sacre specie erano consumate, il santo Ciborio vuoto. Torcegno era senza pastore, senza chiavi, senza Pane».

Poi, Almiro guardò le sue mani e disse: “E ora che faro di queste mani? Le darò al Signore”. Divenne sacerdote.

Fu un buon sacerdote che continuò a dare il Signore con le sue mani. Morì nel gennaio 1968 a 59 anni.

 

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