Estratto da una Relazione del Prof. Ferruccio Antonelli, già Docente di Psichiatria nell'Università di Roma, Specialista in Malattie Nervose e Mentali e Presidente della società italiana di Medicina Psicosomatica.
Articolo pubblicato con il Titolo: LO VEDREI PATRONO DEI DEPRESSI...
Consulta: Gaspare Goggi: selezione di scritti
Ho cominciato a leggere gli Atti e Documenti di Don Gaspare Goggi con curiosità, ma i fatti mi hanno coinvolto e convinto. Ho scritto la relazione secondo scienza e coscienza, ma ho cominciato a pregare Don Goggi, raccomandandogli la precaria salute di mia moglie, affetta da depressione. La relazione mi è venuta di getto. Non mi ringrazi. Sono io che ringrazio lei. Mi ha presentato un Santo. (…)
Della malattia di Don Goggi oggi si parlerebbe di “stato d'arresto psicomotorio” , che è l'acme acuto della depressione. Il Don Goggi dell'ultim’ora, tutto pelle ossa e santità, viene “portato” in un Ospedale, fatto spogliare del suo abito talare!, rivestito con un anonimo straccio, buttato su un letto.
Nella storia clinica di Don Goggi si riscontrano molte caratteristiche tipiche della depressione maggiore. Dove non tornano i conti è nel perdurare, fino all'ultimo, (quando il paziente era “curvo, emanciato, pallido, senescente”), del fervore operativo e cioè del servizio sacerdotale. Qui si impone una riflessione sulla volontà.
La volontà ha due diverse accezioni in teologia morale ed in psichiatria. Nel primo contesto è il doveroso controllo dello spirito sulla carne, è rispetto dei voti e delle regole, è “sacrificio” nel senso più sacrale del termine. In ogni caso è una sorta di eroismo.
In psichiatria l’atto volitivo consta fisiologicamente di tre fasi: scelta, decisione, attuazione. Nella depressione “non si ha voglia” di niente, e “voglia” è sinonimo di “volontà”. Cioè la depressione si può definire la malattia della volontà, così come la demenza è la malattia dell'intelligenza. Dire a un depresso (come purtroppo tutti i familiari sono soliti fare) “mettici un po’ di volontà” ha la stessa ignorante assurdità di dire a chi ha un ginocchio gonfio “vatti a fare una bella corsa”.
Nella depressione di Don Goggi i conti non tornano, come dicevo, perché il sacerdote ha prevalso sul malato. Qualunque impiegato (e forse anche qualche religioso) avrebbe chiesto un'aspettativa, ma Don Goggi sarebbe stato (e lo è stato) capace di restare al suo posto e al suo sacro lavoro, malgrado lo “sfacelo” (finché altri non lo avessero portato via di peso) con quell'eroismo che è la parola chiave nei processi di beatificazione. A mio modesto parere, è proprio in questa sfida della fede alla patologia una delle prove più suggestive e convincenti della santità di Don Goggi.
Un altro punto su cui attirare l'attenzione. La psichiatria oggi non è più il vecchio ghetto isolato tra medicina e sociologia. La depressione è una malattia dell'organismo, del fisico, oltre che dell'affettività. Non coinvolge affatto le potenzialità intellettive. E' malattia finalmente curabile con i farmaci come ogni altra patologia. Non è più discriminata né discriminante. Chi ne soffre ha lo stesso identico diritto ad essere rispettato nella sua sofferenza (che talvolta è inaudita sino a far desiderare la morte come apparente unico sollievo) alla pari di un paralitico o di un canceroso.
Ai tempi di Don Goggi la depressione era incurabile alla pari della tbc. Non credo che la causa per la beatificazione di Don Goggi avrebbe trovato ostacoli se lo stesso fosse stato un tubercolotico e fosse morto in un sanatorio piuttosto che in un ospedale psichiatrico.
Non so se Don Goggi sarà beatificato (come spero, perché, secondo scienza e coscienza, sono ragionevolmente certo che lo meriti), ma, se lo fosse, lo proporrei come patrono (a tutt'oggi inesistente) dei depressi, come S. Lucia lo è dei non vedenti. E sarebbe ora che i depressi avessero un santo patrono essendo tuttora i pazienti più disgraziati in quanto costretti a subire, oltre alla immane sofferenza della depressione, anche l'indifferenza, il misconoscimento, talvolta persino la sarcastica ostilità di chi li considera impostori perché, clinicamente (analisi, lastre, febbre, ittero, ecc.), “non hanno niente”.