Relazione tenuta all'Incontro internazionale di Ecumenismo dedicato a "La cultura dell’ incontro a 50 anni dal Concilio". Roma, 20 -21 gennaio 2015
LO SLANCIO ECUMENICO DI DON ORIONE
Don Flavio Peloso
Ho scelto l’espressione “slancio ecumenico” per definire e presentare l’ecumenismo di Don Orione per due ragioni.
Prima: questa espressione è contenuto nell’articolo 8 delle attuali Costituzioni dei Figli della Divina Provvidenza: “E' proprio del nostro Istituto l'impegno di pregare, lavorare e sacrificarsi per ripristinare, nella Chiesa, l'unità spezzata e favorire con ogni mezzo quello slancio ecumenico che lo Spirito ha suscitato nella sua Chiesa”.
Seconda: l’espressione è molto adatta a definire l’atteggiamento e l’azione di Don Orione, visti nella loro concreta attuazione storica, in riferimento all’impegno ecumenico. Fu uno impulso sincero, serio, un impeto dell’anima che urge al movimento, che illumina una visione ampia e lungimirante. Di fatto, quello slancio ecumenico portò ad alcuni passi precisi e significativi, ma solo accennati, indicati, lasciati come compito e come percorso ai suoi discepoli.
“Ecumenismo” e “atteggiamento ecumenico”?
In senso proprio, ecclesiale, significa contemporaneamente la percezione e coscienza della divisione dei cristiani e l’inscindibile l’atteggiamento di impegno per l’unità, per rispondere alla volontà e alla preghiera di Cristo “ut unum sint”(Gv 17).
La Chiesa di Cristo sempre ebbe l’esperienza di tensioni e divisioni al suo interno, dalla comunità di Corinto fino ai nostri giorni. Parve (e pare) quasi una condizione ineluttabile alla quale accostumarsi. Fu all’inizio del sec. XX che nella Chiesa si prese coscienza di questa situazione di divisione e maturò l’atteggiamento di ricerca e promozione dell’unità dei cristiani. Per esprimere questo “movimento di coscienze e di iniziative” si cercò una parola “non confessionale”, adatta per tutti, e si scelse la parola antica e gloriosa di ekumène (“terra abitata”, Mt. 24,14), ecumenismo.[1]
Nella Chiesa cattolica il termine “ecumenismo” divenne popolare solo con il Concilio Vaticano II. Ai tempi di Don Orione, non esisteva né la parola e né esistevano – salvo alcuni segni pionieristici - iniziative ecumeniche. Eppure, Don Orione, oltre ad avere la “coscienza della divisione” tra i cristiani, sperimentò il desiderio attivo per l’unità dei cristiani nella Chiesa. Tale desiderio attivo di unità appare già in documenti del 1899 e nelle prime Costituzioni del 1904 e si espresse in varie iniziative concrete. Lo “slancio ecumenico” rivela in Don Orione “un vero spirito ecumenico”[2] perché aperto ai vasti orizzonti dell'"Instaurare omnia in Christo".[3]
Dallo studio biografico e dai documenti d’archivio pare di poter individuare due periodi della vita di Don Orione durante i quali si intensificano le testimonianze del suo interesse ecumenico.
Il primo va dal 1898 al 1904: è l'epoca della prima formulazione carismatica. Sorprendentemente, la finalità ecumenica appare con continuità e precisione in tutti i testi giuridici e carismatici.
Il secondo va dal 1930 al 1940: sono gli anni delle nuove aperture verso l’Oriente e nel mondo anglosassone e della permanenza del Fondatore in America Latina, ove il problema dell'incontro di popoli, culture e religioni era molto vivo.
L’IMPEGNO ECUMENICO NELLA FASE DI ISPIRAZIONE CARISMATICA
Don Orione, al chiudersi del secolo XIX, non ancora trentenne ma già con varie istituzioni avviate, si dedicò a dare indirizzo spirituale al gruppo dei primi seguaci e un minimo di progetto alla sua nuova fondazione. Dovette dedicarsi a un documento giuridico di presentazione dell’Istituto in vista della sua approvazione.
Appunti ecumenici nelle bozze di Costituzioni
Il primo riferimento ecumenico documentato risulta essere del 2 ottobre 1898. In un articolo scritto da Don Orione per il bollettino L’Opera della Divina Provvidenza, dal titolo Una cara visita, presentando i motivi ispiratori del costituendo ramo degli Eremiti della Divina Provvidenza, pone tra gli scopi del loro sacrificio e preghiera l’implorare e l’affrettare “l’unione dei poveri fratelli separati”.[4]
Nel secondo Pro-memoria sulla Compagnia del Papa (datato 13.11.1900)[5] incontriamo espressioni che già mostrano gli obiettivi ecumenici presenti nell'ispirazione del Fondatore. "E' proprio del nostro Istituto di coadiuvare nella sua piccolezza, l'azione della Divina Provvidenza nel condurre le anime e le umane istituzioni a prendere posto nella Santa Chiesa, a reggersi e a santificarsi secondo la dottrina e la carità di Gesù Cristo Crocifisso, (...) e nei paesi acattolici, predicando il Santo Vangelo a tutti gli uomini, secondo il mandato di Gesù Cristo agli Apostoli: Et dicit eis: Euntes praedicate Evangelium omni creaturae (San Marco 16,15), se medesima in particolarissimo modo consacrando, con ogni studio e sacrificio di carità, ad ottenere l'unione delle Chiese separate".[6]
Il nucleo carismatico-ispirativo ormai è già bene delineato e comprende la prospettiva ecumenica. Sarà ripreso e meglio formulato nel testo preparato per la I adunanza dei Figli della Divina Provvidenza, tenuta nell'ambito degli Esercizi spirituali del settembre 1901.[7]
Viene da chiedersi: da dove sarà venuta a Don Orione l'idea di esprimere questa finalità dell’unione delle Chiese separate, tanto impegnativa ed esorbitante la dimensione locale-tortonese dell’incipiente Congregazione e il suo stile popolare?
Giova ricordare che la dizione "unione delle chiese separate" è presa dal linguaggio della Chiesa cattolica del tempo di Don Orione. I primi tentativi di dialogo e ricerca di unità con le Chiese orientali erano avvenuti sotto l'impulso di Leone XIII e riguardavano le sole "Chiese separate d'Oriente". Nei confronti delle comunità protestanti, invece, v'era ancora un atteggiamento di scomunica, di difesa, di completa chiusura.
Inoltre è da notare come l'impegno ecumenico ("ottenere l'unione delle Chiese separate") sia presentato come uno specifico raggio intermedio tra l'azione pastorale intra-ecclesiale ("condurre le anime e le umane istituzioni a prendere posto nella Santa Chiesa") e il suo ultimo orizzonte missionario ("andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura"). Infatti, le espressioni conclusive del secondo brano si allargano all'azione missionaria "ad gentes". Ma è la medesima prospettiva di unità. E' il medesimo dinamismo dell'"ut fiat unum ovile et unus pastor" e dell'"Instaurare omnia in Christo".[8]
Pertanto, pare di poter dedurre che la dimensione ecumenica è fiorita, per genesi interna, dallo stesso carisma dell’unità ecclesiale, da favorire mediante la carità, che riconosciamo come il nucleo germinale di tutta la spiritualità e l’apostolato di Don Orione. Lo scopo missionario, quello ecumenico, quello dell'unità interna della Chiesa fanno parte dell’unica e unitaria visione carismatica di Don Orione.
Ricordiamo che anche il movimento ecumenico più in generale fu avvertito ed ebbe il suo primo slancio proprio negli ambienti missionari, ove si collegava l’esigenza dell’unità della Chiesa alla prospettiva della sua missione. La Conferenza universale delle società missionarie protestanti di Edimburgo (1910) ha giustamente assunto nella storia del movimento ecumenico un valore emblematico, ne è ritenuta quasi l’atto di nascita, perché vi si pose per la prima volta il problema dell'unità dei cristiani in relazione alla evangelizzazione e alla missione della Chiesa.[9]
L'"altissimo consiglio" di Leone XIII
Don Orione, durante la fase importante e delicata della prima formulazione del carisma in vista del discernimento dell'Autorità ecclesiastica, visse un avvenimento cui attribuì un particolare rilievo. Gli fu concessa una memorabile udienza da Papa Leone XIII, il 10 gennaio 1902.
Don Orione stesso racconta il fatto al suo Vescovo, Mons. Bandi, scrivendogli da Roma subito dopo l’udienza.
"Per essere tranquillo gli ho detto tutto quello che sentiva riguardo al fine e a certi dubbi che mi tenevano sospeso su certi punti delle Regole, ed Egli sentì tutto, mi disse quello che il Signore vuole che si faccia, che dirò a Vostra Eccellenza a voce; gli presentai la Regola che Egli benedisse. Sentita la volontà del Santo Padre e lietissimo e consolatissimo di non aver sbagliato nei criteri costitutivi della Regola, presentai la Regola;[10] la benedisse, la toccò, mi mise più di una volta la mano sulla testa, battendola, confortandomi; mi disse tante cose; anche di mettere nelle Regole di lavorare per l'unione delle Chiese d'Oriente: è questo, mi disse, un altissimo mio consiglio".[11]
Don Orione attribuì alle parole di Leone XIII il valore di una "conferma papale" della particolare direttrice ecumenica del suo carisma. L'intenzione di lavorare per "ottenere l'unione delle Chiese separate", già posta negli abbozzi di articoli di regola del 13 novembre 1900 e dell'agosto-settembre 1901, era proprio uno di quei "dubbi" che tenevano sospeso Don Orione e dei quali volle parlare durante l'udienza. "Per essere tranquillo gli ho detto tutto quello che sentiva riguardo al fine e a certi dubbi che mi tenevano sospeso su certi punti delle Regole...".[12]
Nel Decreto Vescovile di approvazione dell'Istituto, firmato da Mons. Bandi un anno dopo la famosa udienza, è scritto che lo scopo dell'unione delle Chiese fu “esposto a Sua Santità Leone XIII, fu ampiamente lodato e, col più benevolo compiacimento, da parte del medesimo Sommo Pontefice, confortato dall'apostolica benedizione".[13]
Resta il fatto che Don Orione mai più dimenticherà questo "altissimo consiglio" e lo considererà come una specifica volontà di Dio per la vita della Piccola Opera.
Impressiona vedere l’insistenza con cui ritorna il tema dell’unione delle Chiese separate in tutti i documenti di formulazione carismatica, dai primi del 1900/1904 agli ultimi del 1936.
In una lettera, quasi certamente diretta a Padre Semeria poco dopo la famosa udienza di Leone XIII, Don Orione chiese consiglio per esplicitare nelle Regole il tema dell'unione delle Chiese separate: "Quando sono stato dal Santo Padre, mi ha detto di lavorare per l'unione delle Chiese separate. Come ci può entrare? Pensateci un po' voi, o caro Padre, e fate tutto. Quest'opera, dell'unione delle Chiese separate, mi parve sempre opera non solo di carità, ma anche di riparazione da parte nostra...".[14]
I “Sommi principi dell'Opera della Divina Provvidenza”
Dagli “abbozzi di Regola”, di cui abbiamo riferito sopra, si giunse ai "Sommi principi dell'Opera della Divina Provvidenza", presentati a Mons. Igino Bandi l'11.2.1903, definiti "vere Costituzioni summatim".[15]
Per quanto riguarda il tema dell’unità, vi leggiamo: “Per volontà espressa del Santo Padre poi, è proprio di questo Istituto di coadiuvare, nella sua piccolezza, l'opera della Divina Provvidenza col faticare a sacrificarsi a togliere la confusione dei tabernacoli, e a far ritornare alla piena dipendenza e unità col beato Pietro le chiese separate; così che, per l'unità col Beato Pietro, che è il Romano Pontefice, e per la attuazione delle Sue volontà ‑ cioè di quello che per tutto e pei vari Stati va col nome di programma papale ‑ arrivi a tutti e dappertutto la carità soavissima del Cuore SS. di Gesù, e per essa le genti e le nazioni stabiliscano un giusto ordinamento sulla terra, e vivano e prosperino in Nostro Signore Gesù Cristo Crocifisso: "Instaurare omnia in Christo".[16]
Da notare ancora una volta che la ricerca dell'unità è collegata alla missione della Chiesa: "così che, per l'unità col Beato Pietro... arrivi a tutti e dappertutto la carità soavissima del Cuore SS. di Gesù, e per essa le genti e le nazioni stabiliscano un giusto ordinamento sulla terra, e vivano e prosperino in Nostro Signore Gesù Cristo Crocifisso: Instaurare omnia in Christo". L'unità è in vista della missione. E' una urgenza della missione propria della Chiesa in vista dell’affermazione del Regno di Dio.
Sulla base di questo testo costituzionale contenente "i sommi principi dell'Opera della Divina Provvidenza", giunse il Decreto di approvazione della Congregazione, datato Tortona 21 marzo 1903.[17]
I medesimi concetti e direttive d’azione entrano con sempre migliore precisione di linguaggio nelle prime Costituzioni del 1904 (manoscritte) e in quelle del 1912 (a stampa).
Nel Capo I delle Costituzioni del 1936, l’impegno ecumenico è presentato come un “richiamare alla primitiva unità della Chiesa i fratelli separati”.[18]
DALLE PAROLE AI I FATTI
A Bussana, un progetto di collaborazione ecumenica
Nel giugno del 1902, Don Orione riceve una lettera dal Don Francesco Lombardi, parroco di Bussana (Savona), che gli mette a disposizione il santuario del S. Cuore con l’annesso edificio per farne un'opera di bene. Il giovane Fondatore è ancora sotto la viva impressione dell'udienza di Leone XIII e accarezza l'idea di fondare un’istituzione in favore dell'Oriente cristiano, "la casa di Missione per l'unione delle Chiese d'Oriente".[19]
Quest'opera sembra interessarlo particolarmente e immagina già di preparare e di inviare, in un prossimo futuro, i suoi figli ad un apostolato ecumenico fatto di carità, di amore indefesso alla Chiesa e di incontro fraterno.
Scrivendo probabilmente a Don Alvigini spiega come "Finora per quelle Chiese non si è fatto nulla, e il loro muoversi verso di noi forse è più nella testa di giornalisti e più apparente che reale. Bisognerà andare ad esse con una grande carità e ben foderati di scienza, ma scienza caritativa, non con l'autorità, che faremo mai niente. Ho pensato di scrivere al Parroco di Bussana, che mi dia la sua chiesa e di piantare là, davanti al mare e ai piedi del s. Cuore, la casa per l'unione delle Chiese".[20]
E’ da notare che Don Orione, pur assumendo l’ecumenismo del ritorno, proprio della Chiesa del suo tempo, apporta due importanti atteggiamenti nuovi: quello della riparazione (Quest'opera, dell'unione delle Chiese separate, mi parve sempre opera non solo di carità, ma anche di riparazione da parte nostra) e quello dell’andare verso le Chiese separate ("Finora per quelle Chiese non si è fatto nulla.... Bisognerà andare ad esse...).
L'ecumenismo del ritorno ha segnato la prima stagione dell'ecumenismo della Chiesa cattolica. In realtà, come già osservava una sessantina d'anni fa il Card. Yves Congar, la stessa Chiesa cattolica non poteva limitarsi ad una semplice attesa di un ritorno di tanti fratelli separati, poiché anch'essa è mancante di una perfezione etica nei suoi membri, per cui, pur possedendo la verità e la comunione nei suoi elementi essenziali, doveva ricercare il bene dell'unità attraverso la sua propria conversione e ritorno al progetto di Dio.
La "visita eucaristica" per l'unione delle Chiese
Tanto era sentita e centrale questa passione per l'unione delle Chiese, che Don Orione volle che un segno quotidiano la esprimesse nella vita della Congregazione. Stabilì un appuntamento di preghiera per questa santa causa.
Proprio in questo tempo, 1902-1903, compose il testo per la tradizionale breve visita-adorazione eucaristica di metà giornata "stabilita da Gesù Cristo medesimo per l'unione delle chiese separate (alludeva a Gv 17) e approvata dalla S. Chiesa per unire i suoi figli attorno al Suo Diletto e farli vivere in santità!".[21]
Don Orione riprese la nota formula della "Comunione spirituale" di Sant'Alfonso e la arricchì degli elementi ecclesiali-ecumenici a lui cari. Il testo aggiunto risultava il seguente.
- "Eterno Padre, io vi offro il Sangue preziosissimo di Gesù Cristo in isconto dei miei peccati e pei bisogni di Santa Chiesa.
- Ai Beati Apostoli Pietro e Paolo pel Nostro Santo Padre il Papa e l'unione delle Chiese separate: Pater Ave e Gloria.
- Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam."[22]
Ecumenismo "interno": la relazione con i modernisti
Il volume “Don Orione negli anni del modernismo” ricostruisce i rapporti del Fondatore con alcuni esponenti del mondo cattolico che correvano a un passo dalla separazione o addirittura erano già scomunicati.[23]
La rete di rapporti intessuta con modernisti e altri uomini di Chiesa 'in difficoltà', fu un'opera di dialogo e di promozione di unità assai concreta e sorprendente: Buonaiuti, Genocchi, Murri, Ghignoni, Gallarati Scotti, Alfieri, Semeria, Brizio Casciola, ed altri ancora.[24]
Tommaso Gallarati Scotti, racconta: "Io ero incerto, confuso, impigliato in grovigli non sciolti. Don Orione era semplice, sicuro, con la freschezza lieta di chi sente il mondo tutto penetrato da Dio. Viveva in una sfera che era quella del miracolo... Questo era il suo genio: l'amore".[25]
Don Brizio Casciola, illustre dantista, pioniere dell'ecumenismo in Italia, entrato in difficoltà con l'Autorità ecclesiastica e privato della facoltà di celebrare Messa, entrò nell'orbita intelligente e benefica della carità di Don Orione. Egli stesso lo riconosce scrivendo a Don Orione: "Mi rendo conto della persistenza del vincolo a me caro che a te mi lega e desidero che a me resti un posticino, sia pur l'ultimo, nella grande famiglia che tu con tanto amore e dolore ti sei venuto educando".[26] E passò gli ultimi 20 anni ospite e stimato professore al collegio orionino "San Giorgio" di Novi Ligure.
Padre Semeria, già toccato da accuse di modernismo, e coinvolto da Don Orione nelle opere di bene in favore dei terremotati di Reggio e Messina, scrive al Santo Padre: "Oh Padre Santo, io sono disposto a lasciare il campo arido delle discussioni intellettuali: io anzi l'ho lasciato per gettarmi in questo campo della carità, che Don Orione mi addita e le circostanze impongono".[27] Di fatto, Padre Semeria trovò in Don Orione un amico intransigente nell'ortodossia cattolica e, nel contempo, un tenerissimo compagno nei propositi e progetti di bene.
Don Orione è sensibile alle tensioni e rotture del tessuto ecclesiale e si avvicina alle persone con rispetto e carità per poter cogliere e sviluppare in esse la presenza dello Spirito con l'atteggiamento evangelico del "colligite fragmenta".
La geografia ecumenica negli sviluppi della Piccola Opera
Avendo nel cuore l'anelito di prodigarsi per l'unione delle Chiese separate, Don Orione accettò come provvidenziali occasioni alcuni inviti ad inviare i suoi religiosi fuori d'Italia, tra popolazioni di diversa confessione cristiana, vedendo aprirsi così anche nuovi orizzonti di apostolato ecumenico.
In Palestina (1921) .
Don Orione con i suoi religiosi si fece carico di una vasta colonia agricola nella Valle di Sorek, famosa per le gesta bibliche di Sansone, presso Rafat (a circa 30 km. a sud ovest di Gerusalemme). Vi convivevano ebrei, cristiani e musulmani. Nel 1925, Don Orione accettò un'attività a Cafarnao, presso il Monte delle Beatitudini: ospizio per i pellegrini, colonia agricola e una chiesa pubblica.
Secondo il suo solito indirizzo carismatico, Don Orione invita il superiore Don Adaglio: "Noi dobbiamo mirare agli orfanelli e ai ciechi, ai vecchi cadenti, etc.: opere di carità ci vogliono: esse sono l'apologia migliore della Fede Cattolica. Se si vuole mantenere cattolico un paese o renderlo cattolico, la via più breve e più sicura è di prendere la cura degli orfani e della gioventù povera, e creare opere di carità!".
Bisogna che su ogni nostro passo si crei e fiorisca un'opera di fraternità, di umanità, di carità purissima e santissima, degna di figli della Chiesa nata e sgorgata dal Cuore di Gesù: opere di Cuore e di carità cristiana ci vogliono. E tutti vi crederanno! La carità apre gli occhi alla Fede e riscalda i cuori d'amore verso Dio".[28]
Purtroppo, per difficoltà poi insorte nella regione, gli Orionini si ritirarono nel 1931, lasciando la Terra Santa.
A distanza di 60 anni, la Congregazione è ritornata in Medio Oriente, in Giordania. Nella scuola orionina di Zarka (1985), convivono e si educano giovani cristiani cattolici (piccola minoranza) e di altre confessioni, ma soprattutto musulmani in un clima di grande rispetto reciproco[29].
In Polonia (1923)
Negli anni ‘20, il passo più importante di sviluppo della Congregazione fu quello verso la Polonia,[30] fatto da Don Alecksander Chwilowicz nel 1923, nella Casa di Zdunska Wola.
Don Orione, apostolo dai grandi orizzonti, vedeva nella Polonia un avamposto, la chiave di entrata in Russia, in linea con il suo piano caritativo-ecumenico di ricondurre i fratelli separati, e in primis gli ortodossi, alla Sede di Pietro, secondo quell'"altissimo consiglio" di Leone XIII che sempre gli risuonava nell'anima.
Quando nel 1933 commenta l'invio in Polonia di Carradori e di altri Confratelli italiani, motiva esplicitamente: "... perché possiamo prepararci a penetrare in Russia, come vuole il Cardinale Von Rossum, Prefetto della Congregazione di Propaganda Fide".[31]
A Rodi (1925)
L'iniziativa di richiedere l'intervento della Piccola Opera in questa isola è partita dalla Associazione '"Italica gens", diretta dal senatore Schiaparelli, che volle affidare a Don Orione il glorioso Istituto dei Cavalieri di Malta.[32] Per 25 anni la Piccola Opera svolse un lavoro assiduo e ricco di frutti a Rodi, che dovette lasciare nel 1949 in seguito alle mutate condizioni politiche.
I chierici armeni
Nel 1924, l’Istituto orionino di Rodi ospitò anche un gruppo di orfanelli della terribile “persecuzione turca” contro gli armeni-cristiani. Su 50 ragazzi, otto giovani vollero seguire Don Orione in Italia.
Il 4 aprile del 1929 e poi nel maggio 1933, Don Orione celebrò la vestizione di 7 di questi giovani. L’abito sacro era secondo il costume armeno, con tanto di fascia rossa.
"Non è una semplice vestizione di un armeno – commentò Don Orione -. Per riunire i fratelli separati d'Oriente la Provvidenza ci ha mandati questi figli… Questo trovarci qui con un numero di persone di rito diverso, ci dice quello che sarà un giorno la Congregazione, in cui vi saranno tutti i riti e tutte le razze. Il bello viene definito: unitas in varietate. In una sola Congregazione vedrete copti, greci, armeni e si diranno le messe in tutti i riti approvati dalla Chiesa e vi saranno tutte le razze.[33]
In occasione della ordinazione di due chierici armeni, Giovanni Dellalian e Pietro Schamlian, incaricò Don Sterpi: "Per gli Armeni rivolgetevi a Mgr. Rossum, alla S.Congregazione degli Orientali, esponete il caso, sentite cosa vi dirà, riferitemelo. Io vorrei che stando in Congregazione siano per il loro Rito ".
E' di quest'epoca un prezioso frammento ecumenico. Sono poche righe, stralciate da una lettera del 2 luglio 1934 ad un Vescovo, che manifestano come la direttrice ecumenica fosse sempre presente nel Fondatore e nella Congregazione: "L'umile e giovane congregazione detta Piccola Opera della Divina Provvidenza (...) ha pure per scopo precipuo di pregare e di lavorare in caritate Christi a ricondurre alla Chiesa madre i fratelli separati" [34].
In Albania (1936)
Un'altra apertura missionaria della Congregazione, con valenza ecumenica, è quella che andò sviluppandosi in Albania. A Shijak, a 30 km. ad ovest di Tirana, i cattolici erano una minoranza. Numericamente dominavano i musulmani e gli ortodossi, in una terra occupata dai turchi più di 400 anni prima. Alla fine del 1943, benché in piena guerra mondiale, in quella nazione la Congregazione aveva già 6-7 case, con 24 religiosi.[35] Poi, le vicende politiche (la espulsione degli italiani e l'avvento del comunismo) portarono all'amaro reimbarco per l'Italia e cancellarono d'un tratto questa consistente presenza orionina.[36]
Anche in Albania, a distanza di 50 anni, gli Orionini sono ritornati assumendo la cura pastorale dell'intero distretto della provincia di Elbasan e poi una parrocchia a Shiroka (Scutari).[37]
Guardando al mondo protestante
Sappiamo che l'azione ecumenica della Chiesa cattolica, fino al Vaticano II, è stata rivolta quasi esclusivamente all'"unione delle Chiese separate d'Oriente". Tutto sembrava fermo, chiuso nei confronti delle Chiese e Comunità della Riforma, anzi si parlava di "difesa contro il pericolo protestante". Le relazioni con il cristianesimo della Riforma sono sempre state molto più problematiche rispetto a quelle con l’Oriente cristiano.
Anche Don Orione vive questa duplice valutazione e relazione con i Fratelli separati: incontro con l’Oriente cristiano, difesa dal Protestantesimo. E amore verso tutti. Egli mutua in gran parte il linguaggio e gli atteggiamenti propri dell'epoca.
Al riguardo, mi piace ricordare la risposta del pastore valdese Paolo Ricca, al quale facevo osservare come Don Orione ebbe molta passione per l'ecumenismo... ma con i caratteri tipici del suo tempo, compreso l'atteggiamento "contro i protestanti". Non meravigliato, mi rispose: "l'esperienza e la storia mi hanno insegnato che chi aveva una vera passione per l'unità ha saputo poi cambiare le forme. È la passione per l'unità l'anima dell'impegno ecumenico".
Pur con i toni della "difesa" e della "conquista" (ma non solo!), già negli anni '30, Don Orione ha accenni di una nuova attenzione verso il mondo protestante. Comincia, ad esempio, a volgere lo sguardo per nuove aperture negli USA, in Inghilterra e in altre nazioni nelle quali il problema dell'incontro di popoli, culture e confessioni religiose era molto vivo e problematico.
Riferisce in una riunione che "era stata a Tortona un Signore ed una Signora … Vennero da me e diedero un'offerta ed hanno insistito perché andassimo ad aprire una casa in Svizzera. E quei Signori erano protestanti".[38]
In un discorso ai suoi confratelli e chierici, il 3.7.1934, informa: "Sto per spedire una lettera ad un Vescovo della Norvegia. E' da parecchio tempo che una distinta Signora norvegese insiste presso di me perché venga pure in Norvegia aperta una nostra Casa. Poi, prosegue accennando alla situazione religiosa di quella nazione, ormai del tutto protestante, e conclude: "Dopo il primo decreto di approvazione, io pensavo di ricondurre a Dio l'Oriente; oggi penso alla Norvegia".[39]
Sta di fatto che in quegli anni avvengono le prime fondazioni della Piccola Opera in Paesi a prevalenza protestante: a Jasper (USA) 1934 e a Swansea (Inghilterra) 1935. Il mondo anglosassone risultava particolarmente stimolante a Don Orione, per l'internazionalità della sua lingua, dei suoi rapporti tra razze, culture e professioni religiose differenti.
L'ecumenismo del dolore e della carità
Si era al Paterno (la casa madre) di Tortona, a tavola, l'11.3.1938. Si stava leggendo la vita del Cottolengo del Gastaldi, e don Orione commentò:
"Alla porta del Piccolo Cottolengo, non si può chiedere di che religione o nazione siano, ma se hanno un dolore da lenire.
A Piccolo Cottolengo di Buenos Aires, città di due milioni e mezzo di abitanti, è una città cosmopolita ove vi sono Ebrei, Turchi, Calvinisti, Luterani, Anglicani, fu chiesto ad una Calvinista che cosa l'aveva condotta a farsi cattolica. Ed essa rispose: 'Come non posso credere alla fede e alla religione della suora che dorme per terra vicino al mio letto e che si leva 20, 30, 40 volte ogni notte per darmi da bere e per servirmi ? Neppure se fosse mia figlia potrebbe fare di più!'. Quella buona donna è stata spinta alla fede dalla Carità sovrumana della suora.
E' venuto da me un signore, il quale mi ha detto: - Voglio fondare un Ospizio Cattolico, e lei si sente di mandarmi i suoi preti? - Ed io: - Se per cattolico intende universale,[40] cioè dove si possono accettare tutti, sì che accetto di mandare il personale; ma se vuole fondare un Ospedale esclusivamente per i cattolici, no che non accetto.
Tenete a mente queste parole, perché quando si presenta uno che ha un dolore, non si sta lì a domandare se ha il battesimo o non ha il battesimo, ma se ha un dolore".[41]
Il dolore e la carità sono i dinamismi più profondi dell'incontro, dell'accoglienza, dell'aiuto tra fratelli, precedono e permettono il confronto tra le diversità etniche, culturali, sociali, religiose.
"Il Piccolo Cottolengo terrà la porta sempre aperta a qualunque specie di miseria morale o materiale... di qualunque nazionalità siano, di qualunque religione siano, anche se fossero senza religione: Dio è Padre di tutti!".[42] Questo accogliere persone "d'ogni credo e anche senza credo" è sorprendente, pensando come a quei tempi era necessario il certificato di battesimo e di cresima per essere accolti in una istituzione religiosa.
Don Orione riteneva i Piccolo Cottolengo una sua speciale opera "ecumenica": un ecumenismo delle miserie accolte e della carità donata a tutti. "Il Piccolo Cottolengo (Argentino) apre le sue porte ad ogni sorta di miserie morali e materiali. (...) Non soltanto riceve senza distinzione di nazionalità o religione, ma anche senza religione, perché Dio è Padre di tutti".[43]
Nelle grandi città - a Milano e Genova come Buenos Aires o Cordoba, a Sao Paulo come a Montevideo o Santiago de Chile e Manila -, ieri come oggi, è esperienza comune il riconoscere il valore pedagogico di queste "cittadelle della carità" che sono scuole di civiltà e di nuovi rapporti umani e religiosi per la società circostante.
Il Piccolo Cottolengo è un "laboratorio di unità". Forse è il contributo istituzionale più specifico e originale che il Fondatore e la Piccola Opera hanno saputo attuare per realizzare quella finalità "ecumenica" del carisma. La qualità ecumenica del Piccolo Cottolengo va oggi attualizzata secondo le nuove condizioni e possibilità.
Partendo da questa esperienza “ecumenica” del Piccolo Cottolengo possiamo comprendere e attualizzare la via orionina dell’ecumenismo della carità.
"La carità ci edifica, ci unifica in Cristo".[44] “La carità come forma dell’ecumenismo”[45] comprende rispetto, sacrificio di sé, solidarietà, condivisione, perdono, dialogo fraterno, ecc. La carità ha il potere di "svelare" la presenza dello stesso “spirito di figli” dai veli della storia, delle diversità, dei peccati.
Don Orione, sognando i tempi "che vedranno l'Occidente e l'Oriente unirsi per formare i bei giorni della Chiesa!", indica il dinamismo che li renderà possibili: "Nulla resisterà alla carità di Gesù Cristo e del suo Vicario: alla carità dei Vescovi e dei Sacerdoti, che tutto daranno, e gli averi e la vita stessa, per farsi olocausti divini dell'amore di Dio tra gli uomini! E sarà una carità illuminata, che nulla rigetterà di ciò che è scienza, di ciò che è progresso, di ciò che è grande e che segnò la elevazione delle umane generazioni".[46]
"Veritatem facientes in charitate" (Ef. 4,15) potrebbe essere tradotto in “Unitatem facentes in charitate”.
La carità è un viaggio verso il fratello e, con il fratello, verso il bene, il vero, il giusto: verso Dio! San Paolo, infatti, completa l'esortazione con questa prospettiva di conversione: "Viventi la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il Capo, Cristo".
Tre "frammenti ecumenici" al chiudersi della vita
Il primo "frammento" è tratto dalle parole dette da Don Orione a chiusura degli esercizi spirituali, nell'agosto 1939 a Villa Moffa di Bra: "Ed ora cosa dirò nel lasciarvi? Ripeterò le parole stesse che nostro Signore elevava al suo celeste Padre quando stava per lasciare i suoi discepoli: 'Pater sancte, serva eos ut unum sint, sicut et nos unum sumus'… così da formare un cuor solo ed un'anima sola. Ut sint consummati in unum".[47]
Il secondo frammento riguarda la sua sofferenza e preghiera per i "fratelli" Ebrei. Durante l'invasione nazista in Polonia, nel settembre 1939, Don Orione era afflitto per la sorte dei Confratelli di quel Paese. E invitò: "Raccomandiamo i nostri fratelli e la Polonia al Signore e anche tutto quel popolo martire. Pregare, pregare, pregare! Si sa che là ci sono parecchi milioni di Ebrei: preghiamo anche per gli Ebrei: tutti siamo fratelli!".[48] Questa affermazione assume ancor più valore se collocata nel clima di generale ostilità verso gli Ebrei proprio di quegli anni, e per di più nell'Italia sotto il regime fascista, allineato alle posizioni anti-ebraiche del nazismo.[49]
Il terzo "frammento" è sempre del 1939. A pochi mesi dalla sua morte, avvenuta il 12 marzo 1940, guardando con l'occhio saggio e poetico di chi, vissuto a lungo e intensamente, sa riconoscere l'essenziale, Don Orione lasciò traccia della sua esperienza spirituale in alcuni appunti autobiografici.
"La nostra vita e tutta la nostra Congregazione deve essere un cantico insieme e un olocausto di fraternità universale in Cristo. Vedere e sentire Cristo nell'uomo. Dobbiamo avere in noi la musica profondissima della Carità. Io non sento che un'infinita, divina sinfonia di spiriti, palpitanti attorno alla Croce, e la Croce stilla per noi goccia a goccia attraverso i secoli, il sangue sparso per ciascun'anima umana. Io non vedo che un regno di Dio, il regno della carità e del perdono, dove tutta la moltitudine delle genti è eredità di Cristo e regno di Cristo".[50]
[1] Roger Aubert, La Chiesa negli stati moderni e i movimenti sociali, 1878-1914: Leone 13. e gli stati cattolici, prime riforme di ecumenismo, crisi modernista, in Storia della Chiesa / 9 diretta da Hubert Jedin; Giuseppe Alberigo, Nostalgie di unità: saggi di storia dell'ecumenismo, Marietti, Genova, 1989; Pier Francesco Fumagalli, Ecumenismo, Bibliografica, Milano 1996.
[2] La qualifica è tratta dall’omelia di Giovanni Paolo II del 26.10.1980 in occasione della beatificazione di Don Orione. Cfr Flavio Peloso, Don Orione, un vero spirito ecumenico, Ed. Dehoniane, Roma, 1997, pp.168.
[3] Don Orione maturò l’apertura ecumenica, inaspettatamente a fine Ottocento, come una concreta dimensione dell’Instaurare omnia in Christo (Ef 1, 10), il motto e la prospettiva che tutto mosse in lui. Cfr. Peloso Flavio, Ecumenismo: un raggio dell’Instaurare Omnia in Christo, Atti e Comunicazioni della Curia Generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza (Don Orione), gennaio-aprile 1997, 49-66.
[4]In L’Opera della Divina Provvidenza (2.2.1898) e in Scritti 61, 17.
[5] Scritti 52, 1ss.
[6] Il testo è conservato trascritto di suo pugno dallo stesso don Sterpi, primo collaboratore di Don Orione. In D.O., III, 321 ss; cfr. A. Lanza, Le Costituzioni... o.c., 22 ss. Cfr. D.O., III, 411; Scritti, 52, 10; 112, 41.
[7] A. Lanza, Costituzioni..., o.c., 27-34.
[8] Cfr. il mio Ecumenismo: un raggio dell’Instaurare Omnia in Christo, o.c.
[9]"I legami esistenti tra attività ecumenica e attività missionaria" sono ampiamente illustrati nei documenti della Chiesa: Ad gentes 6; Redemptoris missio 50, Ut unum sint 40, 98 e cfr. 5-14, 98.
[10] Si tratta di un "sunto" della Regola, in Scritti 57,107.
[11] Scritti 72, 187; cfr. 70,172; 41,12; D.O. III, 327.
[12] Lettera-relazione dell'udienza indirizzata a Mons.Bandi, Scritti 72,187.
[13] D.O. III, 423 ss.
[14] Scritti 97,2 e 97,5.
[15] Scritti 72,18; Riunioni 70.
[16] Lettere I, 11-22; cfr. D.O. III, 410ss.
[17] Riportato in D.O. III, 423-425. Cfr. A. Lanza, Le Costituzioni...,o.c., 50-53.
[18] Cfr Sui passi di Don Orione, p. 296-297.
[19]D.O. III, 276.
[20] Si tratta di una minuta senza data e destinatario, in Scritti 57, 169; cfr. D.O., II, 548.
[21] Scritti 57, 223.
[22] Scritti 57, 223. Il testo è riportato in Comunità orionina in preghiera (1993), p.13-14.
[23] Michele Busi, Roberto De Mattei, Antonio Lanza, Flavio Peloso, Don Orione negli anni del Modernismo, Jaka Book, Milano 2002, pp.373.
[24] Cfr. Giorgio Papasogli,, Vita di don Orione, Torino 1994, p.170-179; 219-235; 388-395; A. Brunello, L'ecumenismo di Don Orione, in Don Orione, 76 (1981/1) 6.
[25] G. Papasogli, o.c., p.394.
[26] G. Papasogli, o.c., p.392-393.
[28] Lettera a Don Adaglio, 19.3.1923, Scritti 4, 279-280.
[29] Cfr. gli articoli di tirello G. in Don Orione oggi (1985/5), 25; (1986/12), 14 ss.; (1988/6), 24 ss.
[30] Cfr. Majdak B. Storia della Congregazione dei sacerdoti di Don Orione in Polonia (1923-19459. Pont. Università Gregoriana, Roma, 1985.
[31] A Tortona, il 20.12.1933, Parola V, 360.
[32] Cfr. Lanza A: Don Orione e il senatore Ernesto Schiapparelli in Don Orione oggi, 91 (19966) 12-13.
[33]Parola V,128. Queste parole di Don Orione continuano nell’attualità della Congregazione aperta a nuovi popoli. Annovera tra le file dei confratelli di rito orientale (come ad esempio il vescovo ucraino M. Mykycej) nei paesi dell’Est Europa, in Romania e Ucraina soprattutto.
[34] SDO I,65. Cfr. Scritti 73,219; 70,2; 73,219. Lettere II,279.
[35] Cfr. La Piccola Opera della Divina Provvidenza, 37(1942/6), 3-5.
[36] Un resoconto in I Figli della Divina Provvidenza in Albania nel Bollettino La Piccola Opera della Divina Provvidenza, 42 (19471) 7-8.
[37] Il ritorno è avvenuto il 18 ottobre 1992; cfr. Flavio Peloso, La Famiglia orionina ritorna in Albania in L'Osservatore Romano, 22.10.1992, p.4.
[38] Riunioni 73 e 204; ne riferisce anche in Parola IV, 338.
[39] A Roma, Sette Sale il 3.7.1934, Parola VI, 124.
[40] Molto semplice e bello questo inciso: cattolico significa universale!
[41] Parola VIII, 195-6; SDO VII, 103-105.
[42] Si legga la "Magna charta" sui Piccolo Cottolengo del 13.4.1935 in Lettere II, 225; In cammino con Don Orione..., 141.
[43] Radiomessaggio prima della partenza dall'Argentina (1937), Parola VII, 2. Simile testo per il Piccolo Cottolengo Milanese, Scritti 94,8.
[44] Lettere, II, p. 329.
[45] Fu il titolo del precedente incontro ecumenico, a Leopoli, 21-24 maggio 2009.
[46] Lettere, I, p. 310. La lettera è indirizzata da Don Orione a Don A. Perduca da Rio de Janeiro, 16 dicembre 1921 in Lettere, I, p. 309-317.
[47] Riunioni 213.
[48] Parola (18.9.1939) XI 131.
[49] L’Opera Don Orione, durante la seconda guerra mondiale, si trovò poi a far fronte a un’inedita emergenza nel soccorrere gli Ebrei convogliati nei lagers nazisti; si veda G. Marchi – F. Peloso, Orionini in aiuto agli Ebrei negli anni dello sterminio, “Messaggi di Don Orione”, 35 (2003), n. 112, p.75-106.
[50] In cammino con Don Orione... 328-331.