Quale prete fu Don Orione? E quale prete volle formare?.
DON ORIONE: QUALE PRETE?
Linee di formazione sacerdotale per i tempi nuovi
Estratto dalla Prolusione dell’anno accademico dello Studio Teologico Interdiocesano
tenuta da Don Flavio Peloso nella sala dell’Episcopio a Tortona, il 29 settembre 2003.
E’ facile rilevare alcune analogie tra la vita della Chiesa al tempo di Don Orione e la vita della Chiesa di oggi.
Mi pare che emergano con una certa evidenza tre analogie con i tempi attuali:
1) la necessità di rinsaldare l’unità interna-pastorale della Chiesa;
2) l’urgenza di promuovere un’azione apostolica più penetrante (oggi si direbbe di “nuova evangelizzazione”); e infine
3) la convinzione che l’azione pastorale va accompagnata con la testimonianza della carità.
A ciascuna di queste necessità della vita della Chiesa sono corrisposti atteggiamenti, in Don Orione e nella formazione da lui trasmessa, riassumibili in tre slogans, ben conosciuti nel linguaggio orionino:
1) Preti figli, e non servi (o funzionari);
2) Preti fuori di sacrestia;
3) Preti dalle maniche rimboccate.
1. PER UNA PIÙ FORTE COMUNIONE NELLA CHIESA, “PRETI FIGLI, NON SERVI”
Tra le immagini ecclesiologiche bibliche e care alla tradizione, Don Orione privilegiava indubbiamente quelle che esprimono la realtà misterica, vivente della Chiesa: "Corpo di Cristo", "Sposa di Cristo", e, soprattutto, "Santa Madre Chiesa". Scriveva: “Quanto si sente e si tocca, direi, la verità delle espressioni di Paolo, che cioè: come mistico Corpo di Cristo, la Chiesa, è uno e tutte le membra di questo Corpo, pur essendo molte, sono un sol Corpo... Mirabile unità, vitale e organica, della Santa Chiesa!”.
Lo zelo apostolico del sacerdote, ma di ogni cristiano, sgorga dal senso vivo dell'unità della Chiesa. La sensibilità e il dolore per le divisioni e per le “sedie vuote” in chiesa poggia su un'esperienza della Chiesa intesa come corpo vivo, uno. Nasce dallo spirito e atteggiamento di figli.
Don Orione con la sua visione mistica di Chiesa reagiva a tendenze ecclesiologiche - presenti allora come oggi - che non favoriscono il suo cammino nella storia: la tendenza ad una "riduzione sociologica", temporale, e la tendenza ad una "riduzione spirituale", ideale, della Chiesa (Redemptoris missio, n.17-20). Ambedue le tendenze portano alla perdita della visione misterica della Chiesa, realtà divino-umana, spirituale e temporale.
La attenuazione della visione sacramentale, incarnata, della Chiesa ("ur sacrament") attenua anche la visione e l'urgenza della sua unità, già data e da ricercarsi come nota imprescindibile. Don Orione spiegava questa urgenza con semplicità: "No, no, l'unità generica con la Chiesa non basta alle anime veramente cattoliche: esse vogliono più intimamente unirsi, coi fratelli, al sacerdote celebrante, 'cor unum et anima una' vivere la vita intima della Chiesa e sui saldi fondamenti di essa poggiare la loro pietà".
Don Orione "crede" nella Chiesa, non è animato da una specie di entusiasmo ingenuo e umano; ne conosce la santità e la fragilità. Essa è la "Sposa di Cristo" - forse "pallida Sposa di Cristo" da rinvigorire con il sangue della carità, come ebbe a dire con Santa Caterina da Siena -, ma sempre viva, amante, generante, provvidente verso gli uomini e la società con il dono più prezioso: la vita divina per l'opera dello Spirito Santo. E riproponeva il noto assioma di San Cipriano: "Non avrai Dio per Padre se non avrai la Chiesa per Madre".
Sentire Ecclesiam
La comunione ecclesiale non è data solo da un "sentire cum Ecclesia", ma dal "sentire Ecclesiam": è l'esperienza e l'insegnamento costante di Don Orione. "E chi non ha provato questa gioia del Cristianesimo ne ignora la più profonda bellezza!". Don Orione stava parlando della "grande gioia di sentir dilatata la povera anima nell'unione mistica della Chiesa".
Don Orione visse come priorità carismatica, importante per la vita della Chiesa, lo scopo di "rafforzare l'unità interna ed esterna della Chiesa" tanto insidiata nel suo tempo storico non meno di quanto lo è oggi. Soprattutto l’unità con il popolo semplice, con la gente, con i poveri era, ed è, minacciata. Ed ecco la sua risposta: da figlio della Chiesa, cercherà di rendere presente, tangibile alla gente che incontrava, o a persone in crisi di unità con la Chiesa, la "maternità" della Chiesa stessa attraverso le opere della carità. Come intendeva far sperimentare la "provvidenza di Dio" così, inseparabilmente, voleva far sperimentare la "maternità della Chiesa". "La Chiesa ha sempre curato i poveri - osservava - ed il popolo crede che la Chiesa sia sua matrigna".
In questo contesto di Chiesa "Corpo di Cristo", “santa Madre Chiesa”, si può comprendere la eccezionale passione di Don Orione per l'unità della Chiesa con i suoi Pastori e con il Papa, in particolare. Lui e i suoi Figli fanno un quarto voto di "speciale fedeltà al Papa" che esprime in senso 'eminentiore' l'unità con la persona del Papa (ministero petrino), ma richiama l'insieme delle relazioni e degli atteggiamenti di unità nella Chiesa. E' Don Orione stesso a esplicitare questa "fedeltà al Papa" anche come "fedeltà ai Vescovi che Cristo ha posto a reggere la Chiesa" e al popolo e soprattutto ai poveri. E' una esigenza teologica... e quasi "fisiologica", mistica. Il Papa è il "capo", in quanto segno storico del "Capo di quel corpo che è la Chiesa".
"Unum corpus sumus in Christo, unum corpus sumus in Papa".
Perciò, l'unità nella Chiesa, prima ancora di essere fatta di ortodossia, obbedienza, disciplina ("sentire cum Ecclesia"), è appartenenza di figli, è vita (sentire... “vivere Ecclesiam”). "A questa Santa Madre Chiesa e al suo Capo, il Papa, noi ci siamo dati per la vita e per la morte, per vivere della sua fede, del suo amore, della sua piena obbedienza e disciplina con dedizione piena e filiale, a nessuno secondi"; "vivere e sacrificarsi per tutti i poveri di ogni età, di ogni nazione e religione, senza eccezione, sani o malati. Suo fine particolare è di tenere uniti i piccoli e gli umili lavoratori e operai e fortemente attaccati alla Chiesa Madre e al Papa".
Costruttori di unità
Il dialogo, la correzione fraterna, l’aiuto gratuito, il riconoscimento e la valorizzazione dei beni degli altri, anche “extra ecclesiam”, soggetto di tante meravigliose pagine di vita di Don Orione, e necessità impellente oggi, si basano sulla percezione dell'azione dello Spirito che “ordina” tutti ad una "certa comunione" ecclesiale. Di qui nasce l'autentica fiducia, la tenace pazienza e il fattivo coraggio della ricerca dell'unità. E nasce anche la speranza che sa leggere i segni di un cammino storico che è nelle mani di Dio e che passa attraverso il cammino della Chiesa. "Essa sola è sicura di battere le vie della Provvidenza, e solamente seguendo lei possiamo essere tranquilli che sebbene queste vie possano sembrarci oscure, sono sempre rette". La Chiesa è chiamata continuamente alla missione, è inviata al mondo ad annunciare e testimoniare Cristo, deve continuamente proporsi come mistero di comunione: raccogliere tutti e tutto in Cristo; essere per tutti "sacramento inseparabile di unità" (“Instaurare omnia in Christo”).
Don Orione espresse così, con tono profetico frutto di fede, la sua visione della comunione della Chiesa: "Verrà... quel giorno in cui l'umanità tutta andrà portata, irresistibilmente, ai piedi di Gesù Cristo, attorno a cui solo sentirà di poter ritrovare quell'unità morale che sì ansiosamente va cercando! Verrà il giorno in cui le nazioni, strette attorno a Cristo, si sentiranno sorelle! Dalla Pentecoste in poi le nazioni divise tendono verso l'unità, e vi giungeranno; ma pel Signore e Dio nostro Gesù Cristo. Cristo avanza! Chi è che non veda come si vada preparando il terreno al più grande trionfo di Cristo, all'unificazione cioè spirituale di tutto il mondo sotto la Croce? ... Quest'opera non poteva compiersi in un giorno, doveva essere l'opera dei secoli, doveva essere il cammino perenne della Chiesa, la quale risplende e vive della vita del suo Cristo, affinché tutto l'universo sia un solo ovile, sotto la guida di un solo Pastore...: Cristo nel suo Vicario, il Papa!".
2. PER UNA NUOVA EVANGELIZZAZIONE, “PRETI FUORI DI SACRESTIA”
Non occorrono molte parole per dire tutta la necessità di una nuova evangelizzazione, tanto ai tempi di Don Orione come in quelli attuali. Diremo qualcosa sulla necessità di nuovi evangelizzatori.
Don Orione è apparso sulla scena ecclesiale del suo tempo - lui e il suo manipolo di “facchini della Divina Provvidenza” - con un nuovo stile di essere prete, di essere apostolo, con un nuovo stile di fare pastorale. Guardare a lui può suscitare buoni pensieri e buone decisioni anche a noi oggi.
“Nella luce del divino Risorto e sotto la guida dei legittimi pastori, dobbiamo promuovere una forte opera di penetrazione cristiana specialmente tra il popolo lavoratore; lavorate a riportare a Gesù Cristo e alla Chiesa le classi degli umili”.
Don Orione con il suo solito parlare schietto che andava dritto al cuore dei problemi, in data 12.1.1930, scriveva ai suoi "Cari figliuoli di San Paolo in Brasile": "Ci vuole un illuminato spirito di intrapresa, se nò certe opere non si fanno: la vostra diventa una stasi, non è più vita di apostolato ma è lenta morte e fossilizzazione. Avanti, dunque! Non si potrà fare tutto in un giorno, ma non bisogna morire né in casa, né in sacrestia: fuori di sacrestia! Non perdere d'occhio mai la Chiesa, né la sacrestia, anzi il cuore deve essere là, la vita là, là dove è l'Ostia; ma, con le debite cautele, bisogna che vi buttiate ad un lavoro che non sia più solo il lavoro che fate in Chiesa".
"Dobbiamo essere santi, ma farci tali santi che la nostra santità non appartenga solo al culto dei fedeli, né stia solo nella Chiesa, ma trascenda e getti nella società tanto splendore di luce, tanta vita di amore di Dio e degli uomini da essere, più che i santi della Chiesa, i santi del popolo e della salute sociale".
Don Orione avvertiva che un simile tipo di presenza apostolica rispondeva ad una esigenza interiore di fedeltà evangelica, ma anche alla missione della Chiesa nei nuovi tempi e ai bisogni della gente. Ricordiamo che a partire dalla fine del secolo scorso, fenomeni sociali (industrializzazione, urbanizzazione, ecc.), ideologie e progetti politici stavano sgretolando la tradizionale coesione della buona gente attorno alla Chiesa e alla fede. Don Orione avvertiva i segni di un preoccupante allontanamento delle masse dalla fede cristiana con conseguente disorientamento e impoverimento di civiltà.
Si incontrano spesso nei suoi scritti degli sguardi "a tutto campo" sulla scena storica della società del suo tempo. "I popoli sono stanchi, sono disillusi; sentono che tutta è vana, tutta è vuota la vita senza Dio". "Siamo Figli della Divina Provvidenza! Non siamo di quei catastrofici che credono il mondo finisca domani; l'ultimo a vincere sarà Iddio, e Dio vince in una infinita misericordia". Lui era un prete, era entrato nella passione per la salvezza degli uomini attinta soprattutto ai piedi del Crocifisso condividendo quel "sitio" di Gesù morente, che egli tradusse con il grido "Anime e Anime!". L'amore ai fratelli e l'amore a Gesù Cristo furono le due molle potentissime della sua azione apostolica.
"Anime e anime! E lavorare con umiltà, con semplicità e fede, e poi avanti nel Signore, senza turbarci mai. E' Dio che solo conosce le ore e i momenti delle sue opere e ha tutto e tutti nelle sue mani! Avanti con fede vivissima, con confidenza intera e filiale nel Signore e nella Chiesa".
Don Orione, sensibilissimo alla missione della Chiesa, avvertiva lo stacco che andava crescendo tra clero e popolo, tra religione e società, tra devozione e costumi morali. La fede e il vangelo, pur profondamente radicati nella tradizione del popolo, sembravano quasi ininfluenti sui nuovi problemi e interessi della vita famigliare, sociale, culturale. Le masse operaie, soprattutto, erano attratte, sedotte e travolte da altre ideologie e da altri costumi. Occorreva un nuovo modo di essere "sale e lievito del mondo", un nuovo modo di "seminare e arare Cristo nel popolo", come egli diceva.
Era l'urgenza della Chiesa in quel tempo. Ma anche oggi.
Una società come la nostra, che da una parte tende quasi orgogliosamente al materialismo della vita, mentre dall'altra parte sente il vuoto e l'ansia di Dio, necessita di testimoni del mistero, necessita di segni vivi del vangelo.
E' da ricordare che Don Orione prende il suo primo "stampo" di pensiero e di azione - da chierico - nell'epoca della Rerum Novarum (1891), e nel tempo della fioritura delle iniziative sociali, culturali e religiose promosse dall'Opera dei Congressi; è chierico a Tortona nel seminario di Mons. I. Bandi che, per la sua azione e le sue sapienti Lettere Pastorali, è denominato "il vescovo dell'azione sociale cattolica", e che fa rimbalzare negli scritti e da ogni pulpito un motto (di Papa Leone XIII), "Clero fuori di sacrestia!", con il quale intendeva lanciare clero e laici insieme in una nuova pastorale più incarnata, meno amministrativa e più apostolica, popolare.
Quanto fa pensare anche all'oggi il quadro di situazione descritto da Mons. Giuseppe Rognoni, biografo del Vescovo Bandi:
"Quando Mons. Bandi assunse il governo della Diocesi di Tortona, vi trovò una borghesia imbevuta di liberalismo con elementi radicali e massoni anticlericali. Un popolo in cui fermentavano i germi del socialismo ... I cattolici disorientati, senza legami e senz'armi né d'offesa, né di difesa. Anche il clero figlio del suo tempo, per quanto buono, pio e zelante, aveva subìto, senza comprenderne la perfidia, l'influenza della tattica, all'apparenza elegante e nobile, che insinuava la massima: Il prete stia in Chiesa, battezzi, confessi, comunichi, ma non si interessi della vita esteriore".
Occorreva però anche un nuovo stile di prete, una nuova spiritualità. La Provvidenza dispose che in questo clima "nascesse" Don Orione. Tra mille difficoltà pratiche e tra contrasti d'ogni genere, Mons. Bandi lo riconobbe come "suo", anzi "prete come lo si vuole dalla Chiesa e dai nuovi tempi".
Un prete di "fede che fa della vita un apostolato fervido in favore dei miseri e degli oppressi, com'è tutta la vita e il Vangelo di Gesù Cristo... quella fede divina, pratica e sociale del Vangelo, che dà al popolo la vita di Dio e anche il pane. Se vogliamo oggi lavorare utilmente al ritorno del secolo verso la luce e la civiltà, al rinnovamento della vita pubblica e privata, è necessario che la fede risusciti in noi e ci risvegli da questo sonno 'che poco è più che morte'. E' necessario una grande rinascenza di fede, e che escano dal cuore della Chiesa nuovi e umili discepoli del Cristo, anime vibranti di fede, i facchini di Dio, i seminatori della fede! E deve essere una fede applicata alla vita. Ci vuole spirito di fede, ardore di fede, slancio di fede; fede di amore, carità di fede, sacrificio di fede!".
La salvezza delle anime, che è l'espressione più concreta dell'amore a Dio, fu l'ansia e l'impeto di tutta la vita di Don Orione, sempre guidato nel consumarsi e nel moltiplicare le sue iniziative apostoliche "dalla logica serrata dell'amore", come ebbe a dire Giovanni Paolo II nel discorso di beatificazione.
"La Chiesa e la società hanno oggi bisogno di anime grandi, che amino Dio e il prossimo senza misura, e che si consacrino come vittime alla carità, che è ancora quella che può far ritornare gli uomini alla fede". “Tutti dovremmo essere animati dal senso dell’apostolato. Oggi chi non è un Apostolo, è un apostata. Lotta santa della conquista cristiana e del regno sociale di Cristo”.
Così Don Orione ricapitolava l'analisi e il progetto pastorale nella Chiesa del suo tempo. Forse noi oggi facciamo tante analisi e tanti progetti pastorali forse perché ci sentiamo deboli e incapaci di prendere sul serio l'unica analisi e l'unico progetto che contano: quello della santità che opera nella carità.
3. PER TESTIMONIARE LA CARITÀ, “PRETI DALLE MANICHE RIMBOCCATE”
"La Chiesa e la società hanno oggi bisogno di anime grandi, che amino Dio e il prossimo senza misura, e che si consacrino come vittime alla carità, che è ancora quella che può far ritornare gli uomini alla fede".
E proprio a partire da queste parole, che probabilmente troviamo ovvie e sorprendenti allo stesso tempo, riflettiamo sull'altro elemento di analogia fra la situazione della Chiesa al tempo di Don Orione e quella del nostro fine secolo ventesimo.
Voglio alludere al fatto, alla coscienza ben viva in Don Orione e nella Chiesa attuale, che l'evangelizzazione passa attraverso la testimonianza della carità.
Don Orione, il santo della Chiesa e del Papa, il facchino dell'"instaurare omnia in Christo", è popolarmente più conosciuto come il "santo della carità", "il padre dei poveri, il benefattore dell'umanità dolorante e abbandonata".
Per Don Orione evangelizzare era, prima di tutto, aprire un Cottolengo, un orfanotrofio, era occuparsi dei bambini, dei vecchi, era - in una parola - compiere le opere della carità. La carità per lui era un’apri-porta, una strategia, una condizione della pastorale. Di più, una condizione di “pastorabilità”.
Lo sappiamo tutti: questa è la sua "via" evangelica ed apostolica; questa è la via per cui noi orionini siamo orionini; è la via per cui la Chiesa ci ha riconosciuto come famiglia religiosa e ci vuole oggi fedeli all'interno della sua missione; è la via che costituisce il nostro carisma, così descritto da Don Orione stesso nel I Capitolo delle Costituzioni:
«Fine speciale della Congregazione è diffondere la conoscenza e l'amore di Gesù Cristo, della Chiesa e del Papa, specialmente nel popolo; trarre e unire con un vincolo dolcissimo e strettissimo di tutta la mente e del cuore i figli del popolo e le classi lavoratrici alla Sede Apostolica, nella quale, secondo le parole del Crisologo, il Beato Pietro vive, presiede e dona la verità della fede a chi la domanda (ad Eut. 2). E ciò mediante l'apostolato della carità fra i piccoli e i poveri» (Cap.I delle Costituzioni).
L'insegnamento del Fondatore è, a questo riguardo, quanto mai chiaro, appassionato e continuo: "La carità apre gli occhi alla fede! Opere di carità ci vogliono; esse sono la migliore apologia della Fede Cattolica".
E' un messaggio che oggi si inserisce con nuova e accentuata attualità nel continuo richiamo del Santo Padre per "una nuova evangelizzazione" e nel programma pastorale della Conferenza Episcopale Italiana "Evangelizzazione e testimonianza della carità".
I Vescovi italiani hanno scritto nel documento "Evangelizzazione e testimonianza della carità" (8.12.1990, n.9-10): "La verità cristiana non è una teoria astratta. E' anzitutto la persona vivente del Signore Gesù, che vive risorto in mezzo ai suoi. Può quindi essere accolta, compresa e comunicata solo all'interno di una esperienza umana, nella quale la consapevolezza della verità trovi riscontro nell'autenticità di vita. Questa esperienza ha un volto preciso, antico e sempre nuovo: il volto e la fisionomia dell'amore. Sempre e per sua natura la carità sta al centro del vangelo e costituisce il grande segno che induce a credere al vangelo. (...)
La 'nuova evangelizzazione', a cui Giovanni Paolo II chiama con insistenza la Chiesa, consiste anzitutto nell'accompagnare chi viene toccato dalla testimonianza dell'amore a percorrere l'itinerario che conduce alla fede e alla Chiesa. Per sottolineare questo profondo legame fra evangelizzazione e carità abbiamo scelto l'espressione "vangelo della carità". (...)
Don Orione è pienamente dipinto, e vorrei quasi dire "spiegato" in queste parole dei Vescovi italiani, scritte dopo 50 anni dalla sua morte. Potremmo ricordare fatti e insegnamenti della sua vita e vi troveremmo una consonanza spirituale e pastorale grandissima.
“Non è solo con le prediche che si convertono le anime, ma anche col lavoro. E, se in tante famiglie di San Bernardino è rientrato il Vangelo, non è per le prediche del Prevosto di San Michele, voi mi capite, ma perché hanno visto i preti lavorare. Il popolo vuol vedere la realtà! Non è quindi solamente il prete con la stola al collo che può fare del bene, ma anche il prete che lavora”.
Essere preti dalle maniche rimboccate, preti che lavorano, comporta espressioni concrete diverse per religiosi e diocesani, per il prete giovane o per l’anziano, per chi è più portato allo studio, o all’organizzazione, o al lavoro manuale, per chi si dedica più ai giovani o più agli anziani, ecc., ma per tutti significa vita sacrificata a Dio e donata alla gente; preti a tempo pieno e non ad orario di ufficio, disponibili; prudenti sì nel custodire i tempi di preghiera, di riposo, di studio personale, ma pronti ad accettare una pietà disturbata dalla carità verso la gente e una pastorale soggetta alla deregulation prodotta dai bisogni altrui e dagli appelli della Provvidenza.
Don Orione, santo dalle maniche rimboccate, attivo, conosceva bene le tentazioni dell'attivismo; Don Orione molto in mezzo alla gente, avvertiva contro i rischi del "mondo". "Dovete erigere nel vostro cuore delle mura impenetrabili, delle mura di fuoco, dentro le quali non vi possa entrare altro che lo Spirito di Dio che è santo fuoco di dolcissimo amore di Dio e delle anime. Le vostre mura morali, le mura del vostro cuore sono l'Eremo più bello, e sono l'amore di Gesù Crocifisso, Dio e Redentore nostro Santissimo, e l'amore del prossimo: i due grandi e supremi sacri amori e comandamenti della carità".
Mi limito ad offrire ancora qualche sua espressione che, ne sono certo, potrà ancora costituire analisi e progetto per la nostra vita sacerdotale, secondo le diverse situazioni e responsabilità.
"Apriamo a molte genti un mondo nuovo e divino: pieghiamoci con caritatevole dolcezza alla comprensione dei piccoli, dei poveri, degli umili. Vogliamo essere bollenti di fede e di carità. Vogliamo essere santi vivi per gli altri e morti a noi. Ogni nostra parola dev'essere un soffio di cieli aperti: tutti vi devono sentire la fiamma che arde il nostro cuore e la luce del nostro incendio interiore, trovarci Dio e Cristo. La nostra divozione non deve lasciar freddi e annoiati perché dev'essere veramente viva e piena di Cristo".
"Opere di carità ci vogliono: esse sono l'apologia migliore della Fede Cattolica. Bisogna che su ogni nostro passo si crei e fiorisca un'opera di fraternità, di umanità, di carità purissima e santissima, degna di figli della Chiesa, nata e sgorgata dal Cuore di Gesù: opere di cuore e di carità cristiana ci vogliono. E tutti vi crederanno! La carità apre gli occhi alla Fede e riscalda i cuori d'amore verso Dio. Gesù è venuto nella carità, e non colla eloquenza, non colla forza, non colla potenza, non col genio, ma col cuore! con la carità!".
CONCLUSIONE
Tortona si prepara a celebrare la canonizzazione di Don Orione. Celebrare un santo, un "uomo di Dio", è veramente un momento di grazia e di bene per l'anima: è un richiamo alle realtà divine che, sole, rendono la nostra vita terrena veramente umana e, quella eterna, beata. Celebrare Don Orione, in particolare, è vedere la bellezza e la possibilità di vivere alcuni messaggi evangelici che hanno guidato e reso grande la sua giornata terrena. Le sue virtù sacerdotali sono capaci di dare ragione e di ispirare il nostro cammino di santità nel sacerdozio che solo sarà garanzia di felicità di vita e di efficacia apostolica. Se è noto e caro il proclamato slogan di Don Orione “Solo la carità salverà il mondo”, ricordiamo che egli personalmente visse e ai suoi intimi trasmise la ferma e gioiosa convinzione che “Solo la santità salverà il mondo”.