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Parrocchia Mater Dei.
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Autore: Flavio Peloso

Breve presentazione di Sant'Alberto di Butrio.

SANT'ALBERTO DI BUTRIO

 

Alberto, un giovane del casato di Malaspina, volendo distaccarsi dalla vita mondana, venne ad abitare nell'alta Val Staffora (Pavia), sopra Pontenizza, in una stretta valletta (“ Borrione ”, da cui Butrio ) presso una spelonca da lui trasformata in abitazione, oggi ricordata con una piccola cappelletta a lui dedicata. Questo avvenne verso il 1030. Alberto ricercava solitudine, austerità, preghiera, silenzio, per vivere solo con Dio solo.

Un giorno, quel luogo aspro e solitario fu raggiunto da un cacciatore, il marchese Malaspina di Casalasco, alla ricerca del suo cane che trovò “con il muso sollevato e lo sguardo immobile sembrava mirasse persona viva”. La vista improvvisa dell'eremita lo sorprese prima e lo interessò poi per il suo fare dolce e la parola buona. Il marchese lo invitò al suo castello e Alberto accondiscese.

Giunto al castello e avendo guarito miracolosamente il figlioletto sordomuto del marchese di Casalasco, questi, in segno di riconoscenza, gli edificò una chiesuola romanica dedicata alla Madonna. Qui sant'Alberto prese a pregare. Si diffuse la fama del pio eremita e si unirono a lui numerosi seguaci. Attorno alla chiesa sorsero delle “celle” piccole abitazioni ove gli eremiti conducevano vita solitaria. Si radunavano nella chiesa solo per la preghiera, le celebrazioni e qualche momento comunitario. Da un Breve di Gregorio VII sappiamo che sant'Alberto fondò personalmente varie celle.

In seguito, presso la chiesa sorse anche un cenobio, un monastero, ove i frati risiedevano e vivevano in comunità secondo la regola benedettina. Dell'antico cenobio rimane attualmente un'ala: il cosiddetto chiostrino ed il pozzo. Alberto fu a capo della comunità, cioè abate.

Negli antichi e pregevoli affreschi dell'eremo, datati 1484, l'abate Alberto è sempre raffigurato dal volto nobile e con occhi profondi, con lunga barba bianca, in abito nero, con mitria e pastorale in mano. Egli conduceva una vita intessuta di amor di Dio e degli uomini, di lavoro, di peregrinazioni, di predicazione, di organizzazione della vita monastica che si andava formando attorno a lui.

Con la fama giunsero anche le invidie e le ostilità. Fu accusato presso il Papa di non osservare le leggi ecclesiatiche e, in particolare, quella del digiuno eucaristico. Dovette presentarsi alla corte papale. Giungendovi, alla mensa del Papa, diede prova della sua innocenza e della grazia di Dio, trasformando l'acqua in vino con il semplice segno della croce. L'episodio è raffigurato negli affreschi del monastero.

Il santo abate morì il 5 settembre 1073. I monaci ne deposero le spoglie nella chiesa del monastero, ove furono conservate fino ad oggi. I devoti lo piansero e lo invocarono intercessore di grazie. In una Bolla di Gregorio VII del 28 novembre dello stesso anno, Gregorio VII esorta i monaci a perseverare “ nel tenore della medesima religione in cui vi istituì il vostro defunto padre ”. In una seconda Bolla del 6 febbraio 1477, Gregorio VII usa un'espressione che costituisce una dichiarazione della santità di Alberto: ”religioso, uomo distinto, Alberto, del quale adesso e in perpetuo per divina grazia è felice e veneranda la memoria” . Il titolo di santo gli fu attribuito ad appena sei anni dalla morte, il Vescovo di Tortona ne approvò il culto e una ufficiatura propria.

Dopo la morte del santo fondatore, l'Eremo passò alle dirette dipendenze del Papa e crebbe ancora in potenza e numero di monaci tanto da divenire il centro spirituale di una vastissima zona. Molte erano le celle e le dipendenze dell'Eremo, situate nelle attuali province di Piacenza, Pavia, Alessandria e Genova. Ospitò illustri personaggi ecclesiastici e laici. La tradizione ricorda che vi abbiano soggiornato anche Federico Barbarossa e Dante Alighieri. Una campana, detta “ del carroccio ” suona ancora dal campanile dell'eremo. Viene mostrata una tomba, scavata nella roccia, nella quale è stato sepolto Edoardo II, re di Inghilterra, lì rifugiato in fuga da una congiura di palazzo.

Verso la metà del 15° secolo, con l'avvento degli abati commendatari, l'Eremo incominciò il periodo di decadenza. Nel 1543 gli ultimi monaci lasciarono l'Eremo per trasferirsi altrove. Continuò il culto nella chiesa, ma l'edificio cadde in rovina.

Nel 1900, il Vescovo di Tortona volle fare la ricognizione delle reliquie del corpo di Sant'Alberto per metterle in onore. Della Commissione faceva parte pure Don Orione. Questo evento fece venire al Vescovo e a Don Orione il desiderio di ripopolare quell'austero e sacro ambiente dei suoi più consoni abitatori: gli eremiti. E così avvenne. Gli Eremiti della Divina Provvidenza di Don Orione fecero risuonare le antiche mura di canti e di preghiere, trascorrendo le loro giornate nell' ora et labora benedettino.
Don Orione volle mettere in onore le Reliquie e rilanciare la devozione a Sant'Alberto. Nel 1926 organizzò l’ostensione solenne delle Reliquie di Sant’Alberto.
L'urna nuova, di due metri di lunghezza, fu costruita dagli allievi ebanisti dell'Istituto Manin di Venezia, con il legno dei boschi dell'antica abbazia. La statua, in cera lavorata, alta cm.180, fu realizzata dalle Suore del Cottolengo di Torino sulla base delle immagini di Sant’Alberto presenti negli affreschi del XV secolo dell’antica Abazia.
Ogni dettaglio fu curato personalmente da Don Orione con estrema e devota cura. In una lettera a Don Sterpi, del 9 luglio 1926, dà disposizione sulla conservazione di quelle venerande Reliquie delle ossa: “Si dovrà rivestirle con garza di seta finissima, (dopo che ogni osso sarà prima verniciato con vernice 'damar', onde non continuino a tarlarsi), poi con nastri di seta rossa fermati al fondo della cassetta che sarà posta al posto del petto affinché, nel muoversi dell'urna, non s'addossino le une colle altre. Ci vorrà dunque qualche giorno”.
Il Vescovo Mons. Grassi, presiedette a Tortona alla ricognizione delle ossa e alla loro collocazione entro il simulacro di Sant’Alberto. Le solenni celebrazioni per onorare il Santo, con il passaggio della sua urna da Tortona a Sant’Alberto, con sosta in vari paesi, suscitò un tripudio di fede. Confluirono pellegrini da ogni parte.
Nel 1926, si edificò anche una cappellina in muratura nel luogo preciso ove un giorno lontano Sant’Alberto aveva iniziato la sua vita eremitica, nella selvaggia valletta del “Borrione”.

Da quell’anno 1926 si ebbe una benefica diffusione della notorietà dell’eremo e un rilancio della devozione a Sant’Alberto abate. La tradizione di santità, durata oltre otto secoli, veniva rinnovata soprattutto con la presenza degli Eremiti della Divina Provvidenza che rendevano viva e attuale la forma di vita dell’antico abate Alberto. Le pur brevi e rare presenze di Don Orione alle feste e celebrazioni presso l’antica abazia ripopolata degli Eremiti erano ogni volta come una infusione di fervore e di pietà cristiana. Don Orione fu presente ad animare la festa di Sant’Alberto negli anni 1926, 1927, 1930, 1937.

Speciale impulso spirituale venne soprattutto da Frate Ave Maria (1900-1964), cieco, che diffuse lo splendore di santità ben oltre l'eremo, tanto che Giovanni Paolo II lo dichiarò Venerabile nel 1997. Frate Ave Maria arrivò all’eremo nel maggio del 1923 e visse qui fino al 1964, anno della sua morte. Qui egli percorse la sua sorprendente ascesa verso le vette della santità cristiana. La fama di uomo di Dio si impose rapidamente e si diffuse anche in regioni lontane. L’eremo divenne un approdo spirituale per tante persone.
Anche oggi, per la presenza degli Eremiti della Divina Provvidenza, l’antica abazia di Sant’Alberto continua la sua missione di preghiera e di luogo di incontro con Dio.

Flavio Peloso
 

 

PREGHIERA A SANT'ALBERTO DI BUTRIO

 

Amabilissimo S. Alberto, che dopo nove secoli dalla sua santa morte in quest'Eremo intriso di verde e di silenzio, hai ancora su di noi, tormentati uomini d'oggi, un suggestivo richiamo al riposo dello spirito, ascolta le nostre umili richieste.

Aiutaci a staccare il cuore da tante cose terrene ed inutili, per amare di più l'evangelica povertà.

Fa che, aspirando ai beni eterni che ci attendono, possiamo trasformare in preghiera il lavoro, le gioie, i dolori,
in un crescendo di elevazione a Dio.

Aprici il cuore per tendere, sorridendo, la mano a chi soffre ed ha fame di pane e d'amore,
donando ai fratelli qualcosa di nostro e di noi.

Grazie, S. Alberto, per l'esempio di santità che ci hai lasciato;
la tua spirituale vicinanza su questa terra sia per noi preludio di eterna felicità,
immersi insieme a te nell'infinito Amore . Amen.

 

 

 

 

 

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