Don Orione ebbe amicizia e stima personalissima. Lo definiva "il nostro Papa", "il Papa della Congregazione" per il sostegno e affetto ricevuto.
PIO X E DON ORIONE
Il 24 novembre 1894, entrando come patriarca a Venezia, il cardinal Giuseppe Sarto riassumeva il fine della sua missione pastorale con lo stesso motto paolino che, l'anno prima, il chierico Luigi Orione aveva scelto come programma della sua Opera: Instaurare omnia in Christo, riunire in Cristo tutte le cose.[1] Quella iniziale e fortuita coincidenza del motto si rivelò poi essere, di fatto, il segno dell'affinità spirituale di quelle due grandi anime e la chiave d'interpretazione delle relazioni e degli incontri successivi.
Il primo contatto avvenne per via epistolare. Il card. Giuseppe Sarto aveva condotto a Venezia il giovane musico Lorenzo Perosi, coetaneo e compagno di seminario di Orione. Onorandolo della sua amicizia, lo aveva talvolta ospite a tavola e compagno in qualche partita a tarocchi. Il padre di Lorenzo, Giuseppe, maestro di cappella del Duomo di Tortona, temendo che il Cardinale gli viziasse il figliolo, confidò i suoi timori al chierico Orione. Questi, senza pensarci due volte, scrisse una lettera al Porporato, pregandolo di non volere avviare il promettente "maestrino" verso un brutta china. Appena spedita la lettera, si pentì d'aver fatto una "predichetta" del genere al Patriarca, e si augurava che l'intervento venisse presto dimenticato. Ma... scripta manent!
Quando una decina d'anni dopo, fu ricevuto per la prima volta in udienza dall'ex patriarca di Venezia, neoeletto Papa, Don Orione si sentì mancare quando lo vide estrarre dal breviario la celebre lettera. Il santo Pontefice non se l?era avuta a male; anzi, assicurò di averne ricavato del bene: "Una lezione di umiltà è buona anche per il Papa", commentò.
Sarebbe lungo enumerare le dimostrazioni di fiducia e di affetto di Pio X verso Don Orione, dopo quell'udienza.
Don Orione, alla fine di giugno 1903, si trovava a Roma, nella Colonia agricola di Monte Mario, "per metter là la sua sede",[2] e vi restò per tutto il primo anno di pontificato di Pio X, asceso al soglio pontificio il 4 agosto di quell'anno[3].
Pio X, che si era presentato col suo fare bonario "da buon parroco di campagna",[4] seppe mostrare subito una insospettata fermezza affrontando una situazione della cui delicatezza Leone XIII aveva avuto sentore, ma che poi, per la sua grave età (93) anni, aveva lasciato in eredità al Successore.
A nemmeno un mese dalla sua elevazione al Pontificato comunicava al Preposito Generale dei Padri Barnabiti di revocare la nomina di P. Semeria a direttore del collegio Carlo Alberto di Moncalieri e "di altro Istituto qualsiasi di istruzione"[5]. Qualche mese dopo (dicembre 1903) faceva mettere all'Indice cinque opere dell'abate Loisy e, nello stesso dicembre, con un Motu proprio frenava il Gruppo democratico cristiano, il quale, oltre a ritenere la questione sociale prioritaria sulla stessa questione romana, stava trasformandosi, sotto la spinta di don Murri, in "un moto religioso", la cui religiosità però andava perdendo i caratteri dell'ortodossia cattolica fino ad identificarsi col Modernismo teologico[6].
Il mondo cattolico italiano era dunque in fermento, e Don Orione nella Colonia di Monte Mario, a Roma, si trovava in un posto di osservazione e di informazione privilegiato, vicino com'era al Vaticano. In più, godeva dell'amicizia del Segretario di Stato di Pio X, Card. Raffaele Merry del Val, il quale sovente eleggeva a meta delle sue passeggiate quella vicina colonia agricola.[7] I colloqui col Cardinale fornivano a Don Orione notizie di prima mano sulla situazione della Chiesa e sulle preoccupazioni del Santo Padre. Queste confidenze davano nuovi contenuti e orientamenti alla sua passione carismatica che esprimeva come un "rinnovare in Gesù Cristo tutto l'uomo e tutti gli uomini, e il regno sociale di Gesù Cristo: instaurare omnia in Christo, e "compiere, con la divina grazia, la volontà di Dio nella volontà del Beato Pietro, il Romano Pontefice, riconoscendo nel Romano Pontefice il cardine dell'opera della Divina Provvidenza nel mondo universo".[8]
Don Orione si rese subito conto del diverso stile di pontificato e del mutato clima sociale. Il suo amore e dedizione al Papato ha radici teologiche. Non è frutto di sintonie umane o di giudizi sociologici: "Fanno male coloro che esaltano tanto Leone XIII con ispirito evidente di deprimere Pio X; essi fanno ridere e sono ben piccini. Per alcuni di questi sembra che oggi non abbiamo più nessuno, non ci sia più Papa" Certo egli (Pio X) è un Papa più conservatore che democratico; egli non avrà mai nella libertà la confidenza di Pio IX nel 48, né della democrazia la fiducia di Leone XIII. Egli sente fremere per la Chiesa il desiderio impaziente del nuovo. La salute "non verrà senza la Chiesa e lui lo sa troppo bene; per questo non vuole autonomie e lavoro piccolo e a capriccio". "Il nuovo uomo sociale è creatura della Chiesa: che uomo dunque ci volete dare? Ah, fratelli, non fallite la causa della democrazia cristiana per improntitudine di consigli! Non è vecchia la Chiesa: ad ogni passo dell'umano progresso essa dà uno sboccio di gioventù; dei suoi raggi si indorano le cime dell'avvenire; non chiudete gli occhi alla luce per dire che è buio".[9]
Don Orione ebbe ad affermare che "Il Santo Padre Pio X sarà sempre il nostro Sommo Benefattore, il nostro Papa!". Tale espressione non è frutto solo di enfasi affettiva, ma della riconoscenza verso un Papa che intervenne in modo determinante nello sviluppo della congregazione da lui fondata. Pio X, già nel 1905, affidò a Don Orione la chiesa di Sant'Anna ai Palafrenieri, ora parrocchia della Città del Vaticano; nel 1906, egli rivide e annotò le Costituzioni della giovane congregazione; nel 1908, chiamò gli Orionini alla cura pastorale del quartiere Appio, fuori Porta San Giovanni.
A mettere Don Orione in stretto e diretto con Pio X fu l'incarico da questi affidatogli a Messina. Don Orione si era recato in quella città all'indomani del terribile terremoto del 1908 e si era prodigato eroicamente nei soccorsi. Dopo qualche tempo, Pio X, ricevendolo in udienza, lo sorprese con una perentoria consegna: "Ti farai due volte il segno della croce e, poi, vai dalla Spalletti e vedi di portarle via tutti gli orfani". Gli orfani del terremoto di Messina erano stati raccolti dal Patronato Regina Elena, presieduto dalla Contessa Spalletti e dominato da elementi anticlericali. L'educazione cristiana dei piccoli era messa, in tal modo, in pericolo. Don Orione seppe rispondere con tale tatto al desiderio del Pontefice da farsi nominare vicepresidente del Sottocomitato del Patronato a Messina. Strinse rapporti di stima e cordialità con la Contessa Spalletti e riuscì a collocare gli orfanelli in Istituti di piena fiducia per la loro educazione.[10]
Nella martoriata città c'era molto da ricostruire anche dal lato religioso. Mancava il vicario generale dell'Archidiocesi. Parte del clero era perito nel terremoto, ma c'erano ancora monsignori del luogo che avrebbero ricoperto volentieri quell'ufficio.? Pio X provvide diversamente. In un'udienza concessa all'Arcivescovo e ai seminaristi di Messina, ospitati a Roma per la continuazione dei loro studi, indicando loro Don Orione, che era inginocchiato ai suoi piedi, disse: "Vi presento il vostro Vicario generaleà.[11] Seguirono tre anni di intensa attività e sacrificio che fecero brillare la carità e la prudenza di Don Orione e che lo misero anche in contatto con tante personalità ecclesiastiche e laiche. L'amicizia stretta dal prete tortonese con tanti esponenti del movimento modernistico trova i suoi inizi proprio sulla scena messinese, centro di solidarietà e di interessi tanto diversamente motivati.[12]
Finito il triennio messinese, quasi a premio di quella onerosa obbedienza che tenne Don Orione lontano dalla sua congregazione ancora agli inizi, il fondatore poté soddisfare a un suo intimo desiderio: emettere la professione perpetua nelle mani del Pontefice. Voleva sottolineare, con quell?atto, lo spirito della Congregazione, votata ad essere "tutta cosa del Papa".[13]
Vale la pena ricordare un altro gesto iscritto nella memoria del rapporto tra questi due uomini di Dio. A Don Orione, che non riusciva ad ottenere dal suo Vescovo il permesso di andare in America Latina, Pio X aveva offerto la possibilità di essere missionario nella Patagonia... romana, affidandogli la cura spirituale di un quartiere abbandonato fuori Porta San Giovanni, a Roma, con l'incarico di costruire la chiesa parrocchiale da dedicarsi a Tutti i Santi. I lavori per la chiesa iniziarono nel marzo 1914 e, il 20 agosto successivo, Pio X moriva. Qualche giorno dopo trovarono, sul suo tavolo di lavoro, una busta con una cospicua somma di denaro e la scritta: "Per la Chiesa di Tutti i Santi di Don Orione".[14]
[1] Cf. "Instaurare omnia in Christo", in AA.VV., Sui passi di Don Orione, II ed., Dehoniane, Bologna 1997, p.57-66 e 195-204; Achille Morabito, Instaurare omnia in Christo (Ef 1, 10). Note esegetiche sul motto paolino e orionino, Messaggi 33(2001) n.103, p.5-27.
[2] Il Servo di Dio Don Carlo Sterpi, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma 1961, p. 228.
[3] Su S. Pio X si veda la voce curata da A. Zambarbieri in DSMCI, II, p. 486-495, che presenta anche una ampia nota bibliografica; inoltre: Positio super introductione causae e Positio super virtutibus beatificationis et canonisationis servi Dei Papae Pii X, Typis poliglottis Vaticanis 1949; infine la ricca documentazione contenuta in ADO, Pio X.
[4] G. Semeria, I miei quattro Papi, Parte I, III ediz., Ambrosiana editoriale, Milano, p. 217.
[5] Più che dallo scalpore destato per la visita fatta a Leone Tolstoj in Russia, Pio X fu spinto a prendere quel provvedimento nei confronti di P. Semeria dal concetto che questi aveva dell'obbedienza tradizionale; concetto che poi modificherà tornando al tradizionale; cf. A. Boldorini, Modernismo e antimodernismo in margine all'edizione di alcuni documenti dell'Archivio Segreto Vaticano, in "Renovatio", luglio-sett. 1991, Genova, p. 475s.
[6] F. Fonzi, Democrazia cristiana, in "Enciclopedia Cattolica", vol. IV, col. 1410s.
[7] Notizie in Alessandro Belano, La colonia S. Maria del Perpetuo Soccorso (Roma), Cento anni di Storia (1901-2001), Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma 2001.
[8] Piano e programma della Piccola Opera, 11.2.1903, in Sui passi di Don Orione, p.234.
[9] Scritti 69, 312-315. Degna di nota è una osservazione che fa per i sacerdoti: "Attenti, prima di uscire di sacrestia, e siate preti anche fuori e così orizzontati da non perderla tanto di vista, da non ritrovarne più la via". E' visibile una nuova prudenza rispetto all'esaltante entusiasmo del ch.co Orione all'invito di mons. Bandi: "Usciamo una buona volta di sacrestia, come ci spinge il Santo Padre"; Lettera pastorale di mons. Bandi del 24 agosto 1894, Tortona, Archivio Vescovile.
[10] Sulla contessa Gabriella Spalletti Rasponi si veda: Antonio Lanza, Don Orione e la contessa Spalletti, Messaggi 32(2000) n.100, p.51-57 che attinge alle fonti di ADO, Spalletti; inoltre cf. DO V, 74-124 passim.
[11] Inutili le resistenze dell'interessato, che per tre volte insistette: "Padre Santo, sono un ignorante". Il Pontefice, di rimando, ripeté anche lui tre volte: "Lo puoi fare!". Non restava che ubbidire, e Don Orione si fermò tre anni a Messina, vicario generale dell'Archidiocesi.
[12] Cf. vasta documentazione in DO V 505-769.
[13] Don Orione, diede un appassionato resoconto di quell'evento del 19 aprile 1912 (Lettere I, 77-101). Un particolare da fioretto suggellò quell'atto solenne. Alla richiesta di Don Orione di emettere la professione perpetua, Pio X si mostrò subito compiacente e alla richiesta di quando si sarebbe potuto compiere la cerimonia: "Anche subito" rispose. Don Orione si buttò in ginocchio, tutto confuso. Quando però stava per emettere la professione, si ricordò di una formalità perché i voti potessero avere il loro valore canonico: "Santità, ci vorrebbero due testimoni", osservò trepidante. E Pio X: "Da testimoni faranno il mio e il tuo Angelo custode!".
[14] La documentazione è raccolta e presentata in DO, IV, 636-671. Cfr. G. Cubeddu, O Roma felix! Don Orione e Roma nei ricordi del Cardinale Giovanni Canestri, "30 Giorni". Marzo 2000/3, p.10-15.