Il 28 agosto 1941 Don Clemente Rebora, rosminiano, gradito ospite dei Figli della Divina Provvidenza a Tortona, visitava la Casa delle Suore Sacramentine cieche istituite da Don Orione. Alle Adoratrici il Servo di Dio rivolgeva elevate parole di meditazione.
Oculos habent et non videbunt. (Ps. 113,5)
Il Signore ha detto: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio. E ancora: Beati coloro che non videro e credettero. E la santa Chiesa ci fa cantare:
Vitam praesta puram
Iter para tutum,
Ut videntes Jesum,
Semper collaetemur.
Il vedere fisico è certo un grande dono naturale del Signore. Egli ce lo ha dato perché, scorgendo la bellezza delle cose create, il nostro essere – capace di Dio e che solo quindi in Dio può compiersi e appagarsi – s’invogliasse a scoprire il suo Creatore, a conoscere le meraviglie che la sua carità tiene in serbo per coloro che desiderandolo, facendone stima infinita, mirassero a rispecchiare le sue perfezioni nel Creato, unicamente a piacergli, a unirsi a Lui. E così glorificarlo. (…)
Per Gesù come morte è solo l’inferno, così vedere è solo di chi ha l’occhio semplice, di chi ha in sé la grazia, la vita vera eterna; i Farisei sono per Lui dei veri ciechi e tutto il mondo che adopra la vista secondo le tre concupiscenze è cieco, ed è tanto più cieco, quanto più crede di vedere e di potersi fare guida altrui. Notiamo per esempio, che Simeone dichiara di aver veduto veramente solo quando ebbe Gesù come cosa sua.
Per questo Gesù, e con Lui Maria e dietro loro i santi, fu poverissimo di ogni vedere umano, perché fosse luminoso il vedere il Padre: essi hanno preferito non vedere che Dio sulla terra, rinunciando ad ogni altro vedere, per aprire gli occhi interiori della Fede, che dà la Vita eterna, per la carità, la quale unisce a Dio in Cristo, fino alla visione beatifica. E poiché Egli ricava sempre bene dal male e a chi lascia uno, per amor suo, dà il centuplo… e la vita eterna, ha permesso che alcune creature, nascessero – conseguenza del peccato originale e non attuale - con la cecità fisica, sia per mostrare agli altri quale dono sia il vedere fisico, e quale figura sia dell’altro Vedere, sia per mostrare come torni meglio non vedere fisicamente, piuttosto che usar la vista a peccare, a fare e a scorgere tante offese a Dio, che dimora in noi ed è improntato nella creazione.
Tra questi ciechi, che il mondo cieco considera degli infelici, o disgraziati, o poveri incapaci di far qualcosa, ed ora inutili e da sopprimere…perfino, Gesù ne elesse alcuni a sublime vocazione.
Or non ci vogliono che i Santi, che gli uomini tutti di Dio, come Don Orione, portati a scegliere le cose che non sono, per confondere quelle che sono o credono di essere, per far intendere quale pregio e fecondità si racchiuda in questa sciagura come in ogni altra, se accettata e portata con grande fede, in Domino.
Il Signore chiamando voi, sorelle cieche, a vita religiosa, a vita di perpetua immolazione e preghiera ha reso religiosamente volontaria la cecità vostra: perciò voi testimoniate che mette conto di vedere e guardare e contemplare Lui solo a prezzo di rinunciare interamente a questo mondo: voi siete chiamate a impetrare che il mondo si renda conto come sola vera inesprimibile disgrazia e male sia la cecità proveniente dal peccato, che conduce individui e nazioni a cader nell’abisso: voi siete chiamate a ottenere da Dio che le anime vedano.
Il grande sacrificio della cecità fisica è solo transitorio, ed è rivolto a un mondo guasto e che spesso non si vorrebbe vedere (e Dio voglia che il mondo non cominci da noi): poiché alla risurrezione dei corpi tutti coloro che saranno morti nel Signore acquisteranno, in un modo trasfigurato, ma reale, un corpo di gloria con occhi splendenti di una veggenza impensabilmente perfetta e beatificante.
E ricordiamo insieme che in Gesù c’è questa graduatoria del vero lavorare: primo, il patire in Cristo, e Cristo continua a patire nelle anime generose, che si lasciano crocifiggere in Lui; secondo, il pregare, e chi patisce in Cristo prega necessariamente e veramente e senza interruzione; terzo, l’agire, che ritrae il suo valore solo se deriva dalla vita interiore, di Cristo in noi.
Anche nel Getsemani, anche sulla Croce stiamo uniti a Gesù e glorifichiamo il Padre con l’amoroso Fiat di ardentissima carità: cerchiamo di sentire che ci dimostra la sua suprema predilezione tenendoci avvinti al legno trionfale della vita, alla Croce con la quale Egli vince in noi e con noi il demonio il peccato e per mezzo della quale ci apre la via alle nozze di vita eterna.
Pregate perché diveniamo tutti ciechi al male e veggenti al Bene, alla Carità, alla Santità, alla Vita eterna e così possiamo condurre alla Pace, al Padre i fratelli in Cristo. Amen.
Cfr. Clemente Rebora, Don Orione e gli Orionini, Messaggi di Don Orione 33(2000) n.101, p.5-30.