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Parrocchia Mater Dei.
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Relazione di Don Flavio Peloso Convegno del 12 marzo 2016, al Teatro Civico di Tortona, in occasione del 75° anniversario della morte di Don Orione.

Cosa ci direbbe Don Orione se gli chiedessimo qual è stata la sua esperienza della carità, della carità che salva il mondo.

 

  1. LA CARITÀ È DIO, è lo Spirito di Dio in noi.

Penso che inizierebbe a rispondere più o meno così:

Eh, cari fratelli miei, la carità, la carità è Dio. La carità è la sua presenza nell’anima. La carità è una gioia e un fuoco che ti prende e ti urge dentro. Charitas Christi urget nos![1] E poi “amare Dio e amare i fratelli sono due fiamme di un solo sacro fuoco. Noi dobbiamo chiedere a Dio non una scintilla di carità, ma una fornace di carità da infiammare noi e da rinnovare il freddo e gelido mondo”.[2]

Deus caritas est, Dio è carità.
La vita di Dio è vita di carità.
La vita di Dio è la sorgente della carità che è la vita dell’uomo.
Lo Spirito Santo diffuso nei nostri cuori ci dà la vita di Dio.
Viviamo nello Spirito Santo del Signore e vivremo la carità.

Se Don Orione è un grande “santo della carità” è perché è un grande “santo”. Punto.
Mi viene in mente una discussione, fatta qui vicino nel cortile del Paterno, tra confratelli, ancora vivente Don Orione. Discutevano su “quale fosse l'aspetto più profondo, giustificativo di tutta la vita e l'azione del nostro Padre; le risposte furono varie, ponendo la spiegazione del 'fenomeno' Don Orione alcuni nella carità, altri nella sua pietà, altri in altri particolari della sua personalità. Ad un certo punto intervenne a metterci zitti e d'accordo il compianto Don Biagio Marabotto che ci chiese: 'Ma dite: che cos'è che spiega tutto in Don Orione? Non è Dio? Ecco cos'è, soprattutto, Don Orione: un uomo che vive di Dio".[3]

Detto questo, ho messo a posto il punto centrale dell’esperienza della carità in Don Orione, la sorgente e in dinamismo che spiega tutto: la carità di Don Orione è Dio che viveva in lui. Don Orione non solo ha frequentato Dio, ma è stato abitato da Dio per mezzo dello Spirito Santo e per questo ha vissuto una carità esplosiva.

Ora vorrei indicare tre modalità caratteristiche dell’esperienza della carità di Don Orione e, dunque, anche del suo messaggio. Le enuncerei così:

  1. La carità fa fare esperienza di Dio, apre gli occhi alla fede.
  2. La carità evangelizza, fa sperimentare la Divina Provvidenza.
  3. La carità salva il mondo, lo rinnova, è ricostituente sociale.

Tenendo conto del tema di questo nostro breve Convegno, enuncio solamente le prime due indicazioni, accompagnandole solo con alcuni episodi, esperienze, della vita di Don Orione. È mia intenzione soffermarmi un poco di più sulla terza linea della dinamica della carità vissuta da Don Orione: quella che esprime la convinzione/esperienza che solo la carità salverà il mondo, cioè il valore delle opere di carità come ricostituente social

 

II. LA CARITÀ FA FARE ESPERIENZA DI DIO, fa entrare Dio nella propria vita.

Ernesto Campese,[4] conobbe Don Orione ad Avezzano all’epoca dei soccorsi dopo il terremoto della Marsica, nel 1915. Egli era Segretario di Prefettura del Ministero degli Interni, personaggio eminente e noto per i suoi studi e libri. Durante l'opera di soccorso dopo il terremoto della Marsica (1915),  andò a incontrare Don Orione.

"Infatti, ero stato inviato con treni di roba ad Avezzano  e fui colpito da questo prete in così cattivo arnese, che correva qua e là, ovunque portando fiducia. Volli parlargli, e, abbordatolo mentre si spostava da un punto all'altro, mi invitò a seguirlo. Ma che passo teneva! Per tenergli dietro inciampai in una trave tra le macerie; non seppi trattenere una bestemmia. Don Orione si fermò a guardarmi; ma, strano, mi guardava come quando da ragazzo ne facevo qualcuna, mi guardava mia madre.
Poi mi chiese: “A che punto siamo in fatto di religione?”.
Io gli risposi: “Tabula rasa”.
E lui: “Ci vuole arrivare a vederlo Iddio?”.
Ed io: “Eh! Se mi si mostra!”.
Don Orione: “Veda ogni giorno di fare un pochino di bene”.[5]

Ernesto Campese dovette prendere sul serio quel consiglio di Don Orione se poi, a distanza di 30 anni, si fece rivedere ad un raduno Amici per raccontare che è proprio vero quello che gli aveva detto il Santo sulle macerie della Marsica. Di fatto, divenne anche un fedele benefattore della Congregazione. La carità fa fare esperienza di Dio. La carità apre gli occhi alla fede.

Le opere di carità non solo favoriscono l’incontro con Dio, ma sono per se stesse esperienza di Dio, perché Dio è carità.

Don Ignazio Terzi, quarto successore di Don Orione, ha raccontato che, ancora laico, faceva parte di un gruppetto di giovani universitari accompagnati dal Padre fondatore in visita al Piccolo Cottolengo di Genova. Don Orione, dopo averli lasciati per andare a intrattenersi con alcune persone distinte della città, ritornando disse loro: "Vedete, questa opera è certamente per questi poveri che vi sono ospitati, ma, vorrei dire che, ancor più, è per quelli là, perché vedano e apprendano la carità e si avvicinino a Dio".

 

III. LA CARITÀ EVANGELIZZA, fa sperimentare la Divina Provvidenza .

Don Orione, in una sera piovosa di tardo autunno, stava tornando a Tortona dopo essere stato a predicare in un paese dell’Oltrepò pavese. Dal parroco di Borgoratto Marmirolo aveva ricevuto come compenso un paio di scarpe nuove. Il medico del paese – buon uomo ma non credente - si offerse di accompagnarlo con il suo calesse coperto. “Però – si scusò con Don Orione - dovrà avere pazienza, perché devo fermarmi lungo la strada per la visita a qualche malato”.

Partirono e, presso Staghiglione, il medico fermò il calesse sulla strada dovendo entrare in una casa per visitare un malato. Don Orione restò nel calesse, prese il suo rosario e, avvolto nel mantello, iniziò a pregare.

Ad un certo punto, fu come svegliato da un poveraccio che batté alla porta del calesse stendendo la mano. Don Orione fece un rapido esame delle tasche. Niente. Posò gli occhi su quel povero uomo e vide che le sue scarpe erano sfondate e bagnate. In fretta, senza nulla dire, sempre in silenzio, si piegò, levò le sue scarpe e le porse con gentilezza.

Quell’uomo, sorpreso, si aprì a un sorriso e disse: “Sia lodato Gesù Cristo”.
“Sempre sia lodato”
, rispose Don Orione.
Furono le uniche parole di quell’incontro. Il medico fece in tempo ad ascoltare quello scambio di saluto e a capirne il perché.

Giunto a casa, dopo le preghiere della sera, alla Buona notte, Don Orione raccontò quanto accaduto ai suoi giovani e ai confratelli per richiamare l'attenzione su un particolare..
Vedete – disse – quel pover’uomo non ha detto ‘grazie Don Orione’, ma ‘sia lodato Gesù Cristo’. Sì, perché la carità fa pensare a Dio, la carità apre gli occhi alla fede. Così dobbiamo essere noi. Dobbiamo far sperimentare a tutti la Divina Provvidenza mediante le opere di carità”.

Vent’anni dopo, quel dottore, Alberto Bernardelli, si trovava in fin di vita all’ospedale di Voghera. Qualcuno ebbe il coraggio di suggerirgli un pensiero di fede e di invitarlo a ricevere i sacramenti. “ – disse - chiamatemi Don Orione”.

Quel gesto di carità fece esclamare “Sia lodato Gesù Cristo” all’uomo povero e fece aprire a Dio l’anima del medico che l’aveva visto.

In questo senso, va anche un altro ricordo di Don Orione. Di uno dei suoi Benefattori, uno un po’ particolare, che egli definì “uno spregiudicato, che non può vedere né vuole sapere niente di religione”,  riferisce: "Salvatore Sommariva mi ha detto: Non credevo in Dio, ma ora ci credo perché l'ho visto alle porte del Cottolengo".[6]

Benedetto XVI,  citando Sant’Agostino, afferma “Se vedi la carità, vedi la Trinità” (n.19) per cui poi illustra il “felice legame tra evangelizzazione e opere di carità” (n.30).
Le opere di carità non solo dispongono/preparano alla evangelizzazione ma sono evangelizzazione.[7]
Proprio questa è la convinzione, la via apostolica trasmessaci da Don Orione che ci voleva “preti di stola e di lavoro”, perché “la nostra predica è la carità”. “La carità apre gli occhi alla fede e riscalda i cuori d’amore verso Dio. Opere di carità ci vogliono: esse sono l'apologia migliore della fede cattolica”.

 

IV. SOLO LA CARITÀ SALVERÀ IL MONDO, la carità è ricostituente sociale, è sale e lievito sociale, antibiotico e vitamina.

Papa Francesco ha detto ai partecipanti al Congresso di Cor Unum sul tema “La carità non avrà mai fine”, il 26 febbraio 2016, che “la storia della Chiesa, è storia di carità. È una storia di amore ricevuto da Dio, che va portato al mondo: questa carità ricevuta e donata è il cardine della storia della Chiesa e della storia di ciascuno di noi… La carità sta al centro della vita della Chiesa e ne è veramente il cuore”.

Tra poco, mons. Vescovo ci dirà che la carità appartiene all’Intima Ecclesiae natura.

Papa Benedetto XVI nella Deus caritas est sottolinea molto il valore sociale della carità e ricostruisce la storia della carità con rapidi cenni. Richiamo due passaggi.

  • Al n. 24, fa un “accenno alla figura dell'imperatore Giuliano l'Apostata († 363) può mostrare ancora una volta quanto essenziale fosse per la Chiesa dei primi secoli la carità organizzata e praticata. Bambino di sei anni, Giuliano aveva assistito all'assassinio di suo padre, di suo fratello e di altri familiari da parte delle guardie del palazzo imperiale; egli addebitò questa brutalità — a torto o a ragione — all'imperatore Costanzo, che si spacciava per un grande cristiano. Con ciò la fede cristiana risultò per lui screditata una volta per tutte. Divenuto imperatore, decise di restaurare il paganesimo, l'antica religione romana… In una delle sue lettere aveva scritto che l'unico aspetto del cristianesimo che lo colpiva era l'attività caritativa della Chiesa. Fu quindi un punto determinante, per il suo nuovo paganesimo, affiancare al sistema di carità della Chiesa un'attività equivalente della sua religione. I « Galilei » — così egli diceva — avevano conquistato in questo modo la loro popolarità. Li si doveva emulare ed anche superare. L'imperatore in questo modo confermava dunque che la carità era una caratteristica decisiva della comunità cristiana, della Chiesa”.
     
  • Al n. 40, Papa Benedetto nomina San Luigi Orione come rappresentativo dei santi sociali del XX secolo; Don Orione per la prima metà del Novecento e Madre Teresa di Calcutta per la seconda metà. Li definisce “modelli insigni di carità sociale per tutti gli uomini di buona volontà. I santi sono i veri portatori di luce all'interno della storia, perché sono uomini e donne di fede, di speranza e di amore”.

                Queste due citazioni nella Deus Caritas est – di Giuliano l’Apostata e di San Luigi Orione – ci ricordano, in diverso modo, la stretta relazione tra carità cristiana e mondo, tra carità e politica, tra carità e civiltà.

               

                LA STRATEGIA DELLA CARITÀ

                Quando Giovanni Paolo II ha definito Don Orione, nel giorno della canonizzazione,  “stratega della carità” ha messo in evidenza la dinamica pubblica, ecclesiale e civile, della sua esperienza di carità. Chi conosce anche solo un poco la vita e gli insegnamenti di Don Orione sa che questa qualifica è azzeccata e pertinente.

In che cosa consiste la strategia della carità?
Ce lo dice Don Orione stesso.

Viviamo in un secolo che è pieno di gelo e di morte nella vita dello spirito: tutto chiuso in se stesso, nulla vede che piaceri, vanità e passioni, e la vita di questa terra, e non più! La faccia della terra si rinnovella al calore della primavera; - ma il mondo morale solo avrà vita novella dal calore della carità.

La causa di Dio e della Sua Chiesa non si serve che con una grande carità di vita e di opere: non penetreremo le coscienze non convertiremo la gioventù, non i popoli trarremo alla Chiesa, senza una grande carità e un vero sacrificio di noi, nella carità di Cristo. Vi è una corruzione nella società spaventosa: vi è una ignoranza di Dio spaventosa: vi è un materialismo, un odio spaventoso: solo la Carità potrà ancora condurre a Dio i cuori e le popolazioni, e salvarle”.[8]

Ancor oggi, la nostra Famiglia Orionina - religiosi, suore, laici, collaboratori – con tanti limiti e debolezze, è impostata su queste convinzioni e dinamiche.

Dopo tanti anni che conosco la congregazione da una parte all’altra del mondo, intus et in cute, ho l’impressione che, dove siamo nel mondo, noi Orionini siamo più stimati per le opere di carità che come religiosi, come congregazione di vita consacrata. Medesimo rilievo ho ascoltato recentemente dal Card. Joseph Cordes riferito alla Chiesa: è più stimata per quanto fa per l’uomo che per quanto fa per Dio.

Dobbiamo dispiacercene? Un po' sì. Ma avviene, per dirla con Don Orione, che “Tanti non sanno capire l’opera di culto ma capiscono l’opera di carità”.[9] In un’epoca di secolarismo avanzato, come l’attuale, ciò è ancor più vero e dobbiamo tenerne conto. "Il bene, vedete, piace a tutti, anche ai cattivi!".[10]

Le opere della carità sono la finestra tramite la quale la Congregazione – e la Chiesa intera – vengono guardate, conosciute e valutate. Le opere della carità - quando sono tali – sono sempre una “sorpresa” che suscita l’attenzione (“voglio vedere perché il roveto non si consuma”), suscita simpatia, serve come aggancio di dialogo, di comunione. La gratuità, oggi, è sempre una grande sorpresa. Gli unici fatti veramente nuovi sono i fatti di gratuità. Tutto il resto è previsto, programmato, prodotto da quello che c’è già.

Evidentemente è impegno nostro, nelle opere di carità, vivere il collegamento reale e continuo tra diaconia della carità ed evangelizzazione della carità (che è Dio) e sacramenti della carità (la Grazia). Diversamente, le opere di carità si riducono a servizi e la Congregazione/Chiesa, come ha detto più volte Papa Francesco, si riducono a ONG, o a “società di servizi” e di supplenza di alcune attività umanitarie.

Non c’è strategia della carità senza questa visione e prassi integrale della carità cristiana. Non basta elargire i beni materiali (“il pane del corpo”) occorre dare il bene relazionale della nostra fraternità che rimanda alla paternità di Dio (“divino balsamo dell’anima”); non basta, dunque, competenza del servizio ci vuole la formazione del cuore.

Questa esigenza della strategia della carità, è stata bene sintetizzata da Benedetto XVI nel Discorso al 13° Capitolo generale dei FDP del 2010.[11]
Le opere di carità – ci disse -, sia come atti personali e sia come servizi alle persone deboli offerti in grandi istituzioni, non possono mai ridursi a gesto filantropico, ma devono restare sempre tangibile espressione dell’amore provvidente di Dio. Per fare questo - ricorda don Orione - occorre essere ‘impastati della carità soavissima di Nostro Signore’ (Scritti 70, 231) mediante una vita spirituale autentica e santa”.

 


[1] Cfr. Lettere, II, p. 397.

[2] Sui passi di Don Orioe, p.262; vedi lettera del 25.7.1936 in Lettere II, 391-402.

[3] Summarium, p.993. Ma Don Orione stesso insegnò ai suoi chierici e confratelli: "Voglio mettervi a parte di un grande segreto. Qual è il grande segreto per riuscire nelle opere di apostolato, per ottenere dei risultati soddisfacenti nel nostro lavoro, nel campo della carità cristiana? Questo segreto è l'unione con Dio, vivere con Dio, in Dio, uniti a Dio, avere sempre lo spirito elevato a Dio", Parola  del 26.9.1937.

[4] Nacque a Napoli il 2 gennaio 1882 e morì il 1° novembre 1973, a Roma.

[5] Summarium, p.540.

[6] Riunioni 130; Parola IX, 425; fu un generoso benefattore del Piccolo Cottolengo di Genova.

[7] Don Orione raccontò la conversione di una anziana donna convertita al Piccolo Cottolengo di Claypole, la quale gli spiegò: "come posso non credere alla fede e alla religione della Suora che dorme per terra vicino al mio letto e che si leva 20-30 volte ogni notte per darmi da bere e per servirmi… più che fosse mia figlia? (...) Vedete? – concludeva Don Orione -, quella donna è stata spinta alla fede dalla carità sovrumana della suora"; Parola VIII, 195-196.

[8]  Lettere I, 178-181.

[9] Riunioni, 95. Questa considerazione pastorale di Don Orione divenne come un dogma istituzionale: “È prassi presso di noi di unire sempre all’opera di culto un’opera di carità”; Scritti 53, 39; 80, 109; 92, 224; 117, 107;  “Accanto ad un’opera di culto, deve sorgere un’opera di carità”; Riunioni, 81; Scritti 38, 158; 62, 65b; 49, 33; 50, 297; 90, 347; 92, 216; . “Dove sorge un’opera di culto dobbiamo unire un’opera di carità”, Parola III, 148 e 154; “una qualche opera di carità, unendo Fede e Carità”; Scritti 105, 72; Parola III, 148 e 154; infatti, “La pietà e la carità sono come due buone sorelle, le quali amano di vivere insieme ed abbracciate”, Scritti 100, 195.

[10] Parola III, 41.

[11] Discorso al Centro Don Orione di Roma – Monte Mario, 24 giugno 2010.

 

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