Intervista di Myriam Castelli a Don Flavio Peloso per il programma “Cristianità” di RAI International.
11 febbraio 2001, Giornata del malato, il Papa ha scelto come tema “Nuova evangelizzazione e dignità dell’uomo sofferente”. Perché questa scelta tematica?
Il senso e la ragione del tema appaiono evidenti: proclamare la dignità dell’uomo sofferente è in se stesso evangelizzare Dio, Signore e salvatore della vita! Come è vero anche il reciproco: solo evangelizzando Dio, la sua signoria e provvidenza sulla vita, si trova la ragione e ancor più la forza ultima per impegnarsi a rispettare e promuovere la dignità dell’uomo anche sofferente. Dove non si rispetta la signoria e i diritti di Dio si finisce per non rispettare nemmeno la dignità e i diritti dell’uomo, tanto più se sofferente. La storia delle ideologie totalitariste o anche le vicende di tante nostre famiglie provano la verità del rapporto tra rispetto di Dio e rispetto dell’uomo sofferente.
La dignità di chi è provato dal dolore e dalla malattia costituisce il criterio fondamentale cui deve ispirarsi ogni politica socio-sanitaria. Oggi si sta cedendo alla tentazione di pensare e agire in termini esclusivamente economici, mettendo a rischio i valori della vita e la sua sacralità.
Si, il principio economico è quello di avere “la massima resa con la minor spesa”. E questo non solo in termini di denaro, ma anche di tempo, di sacrificio di sé, di cura, di immagine. Evidentemente, il malato, il portatore di handicap è una provocazione al principio economicista. Di fatto, quando il principio economicista domina in una cultura, in una società, i malati finiscono ai margini, lasciati a se stessi, violentemente esclusi dalla tavola della solidarietà e della fraternità.
Succede però a molti di scoprire altri beni appetibili oltre a quelli materiali: quelli umani e spirituali di cui le “anime ingrandite in corpi impediti” sono ricchi. Allora il bilancio economico si rovescia; sono i malati, i poveri, i disabili a dare e sono i sani a ricevere. È l’esperienza di tante persone che si dedicano con amore a persone sofferenti e nel bisogno. È il ritornello da me ascoltato tante volte da giovani e meno giovani volontari in qualche nostra opera caritativa: “è molto di più quello che ho ricevuto che quello che ho dato”.
In Europa il 55% delle istituzioni sanitarie-assistenziali è gestito dalle diverse confessioni cristiane. L’Italia è al secondo posto, dopo la Germania, per strutture di proprietà o gestite da religiosi/e.
Che oltre il 55% delle istituzioni sanitarie-assistenziali sia gestito da istituzioni cristiane è un indice che il cristianesimo è vivo. Ma c’è una sfida da vincere; Don Orione la riassumeva così: “dobbiamo passare dalle opere di carità alla carità delle opere”. Il discorso è immediatamente chiaro, qui è il punto: la qualità di “charitas” (comunione di Dio) che riusciamo – religiosi e laici insieme – a immettere nelle istituzioni caritative. Oltre alla normale entropia dell’amore, quando non ha una ricarica marcatamente contemplativa, a complicare notevolmente la situazione delle “opere di carità” ci sono le leggi dello Stato che, di fatto, burocratizzano le relazioni e il servizio, mettono al centro le strutture – sempre più idealistiche e costose – e meno le persone.
Voi, Famiglia religiosa di Don Orione, siete maestri in questo.
Don Orione era un sacerdote, e la passione di un sacerdote è quella di dare Dio alle anime e le anime a Dio. Don Orione aveva compreso il valore evangelizzatore della carità, coniugata in tutte le 14 opere di misericordia corporale e spirituale, e aveva concluso: “la nostra predica è la carità”, “la migliore apologia della fede cattolica è la carità”, “le opere della carità aprono gli occhi alla fede e riscaldano i cuori di amore verso Dio”.
Lui, grande predicatore, insegnava che “le opere di carità sono i nuovi pulpiti da cui parlare di Dio alla società di oggi”. E spiegava: “Tanti, oggi, non sanno capire le opere di culto ma comprendono le opere di carità. Accanto a una chiesa sorga sempre un’opera di carità verso i più bisognosi”.
Questa “strategia della carità” dà impronta ancora oggi al nostro modello di fare pastorale e di fare missione: “preti di stola e di lavoro”. Anche nelle nuove aperture e missioni di Costa d’Avorio, Romania, Albania, Filippine che ho visitato facciamo così.
Qual è la sua esperienza?
La mia esperienza? È aver verificato che la “strategia” funziona ancora oggi, anzi soprattutto oggi! Vedo due segni di verifica: primo, dove cresce l’opera di carità si riempie la chiesa; secondo, le vocazioni di giovani vengono soprattutto dalle opere di carità, perché hanno sperimentato che sono un efficace modo di darsi a Dio e di portare la gente a Dio.
Quante volte ho assistito a conversioni umane e spirituali di giovani e di persone di ogni età e stato sociale all’incontro con le persone inferme del Piccolo Cottolengo di Tortona e di altre simili cittadelle della carità! Altro che assistiti! Non è tutto qui. I poveri sono i custodi più gelosi e convincenti del dono della vita. E sono i migliori ostensori della Presenza di Dio. Lo sa chi ha servito e contemplato, in silenzio, per lunghi momenti, o ore, o giorni, o per una vita intera, qualcuno di questi esseri toccati dal limite e dal dolore.
Lo imparò il filosofo e scrittore francese Emmanuel Mounier che ebbe sua figlia primogenita Françoise, colpita da encefalite irreversibile a sette anni. «Françoise è caduta in un grande silenzio», scriveva Mounier, «il suo bel volto è aperto da mattina a sera su un mistero che Dio solo conosce. Mistero che non può essere altro che mistero di bontà. Françoise è come un'ostia vivente in mezzo a noi, silenziosa come un'ostia, splendente come l'ostia. Forse ci è chiesto di custodire e venerare un'ostia in mezzo a noi».
Oggi, memoria della Beata Vergine di Lourdes: non poteva collocarsi in una data più felice la Giornata del malato. Come spiega il “fenomeno Lourdes” sempre ricco di fascino e di devozione?
Lourdes è un evento meraviglioso prolungato nel tempo, dal 1858. Lourdes unisce, dai fatti di Bernadette a oggi, “evangelizzazione” e “cura dei malati”. La Madonna a Lourdes ha indicato il Cielo e ha interceduto per i malati. I segni – molti riconosciuti come miracoli canonicamente – segnano ed evangelizzano la Provvidenza di Dio. Le “grazie” che la Madonna intercede servono ad aprire alla “Grazia”, la vita di Dio, la comunione nella Chiesa.
Giovanni Paolo II ha sperimentato in se stesso il peso della malattia e della sofferenza. Un Papa vecchio e malato a capo della Chiesa, la più grande istituzione mondiale: qualcuno ha parlato di dimissioni. Che ne pensa?
Due immagini hanno “scandalizzato” i ben pensanti che giudicano la fede cristiana e la Chiesa superficialmente: il Papa di qualche anno fa che va a sciare sui monti o a camminare sui prati e il Papa di oggi che guida il “colosso-Chiesa” da vecchio, con le inevitabili limitazioni dell’età. In fondo, sono due espressioni dell’equilibrato rapporto che l’uomo di fede deve avere con i beni della natura: valorizzarli senza presunzione quando ci sono e senza depressione quando vengono meno.
È lo Spirito che dà vita e che costituisce il valore di una persona nella salute e nell’infermità. Questo Papa, anziano ma vivo nello Spirito, è una splendida conferma che la salute, l’efficienza, i beni naturali sono importanti ma non sono tutto.
La Chiesa è più una famiglia che una grande azienda dove conta solo l’efficienza e la produzione. Nella Chiesa conta anche la fragilità, la sofferenza offerta, la comunione spirituale, la preghiera perché rimandano a una Presenza superiore, lo Spirito di Cristo, artefice della autentica comunione e azione della Chiesa.