Incontro di due uomini liberi: Don Orione e Silone. Intervista alla moglie Darina
La dimensione “religiosa” della personalità
e della produzione letteraria di Ignazio Silone
Flavio Peloso
Angelo Vallesi, giovane sacerdote studente della Gregoriana, andò a trovare l’anziano Silone nella sua casa romana di Via Villa Ricotti. Aveva delle domande importanti da rivolgergli. Si srotolò un dialogo essenziale, preciso, indimenticato.
- Maestro, come pensa possa cambiare la società?
Cambiando la coscienza personale di ciascuno.
- Il Concilio ha parlato anche di una coscienza collettiva…
Sarà, ma è solo una idea.
- Maestro, lei si sente cristiano?
Certo, ma senza chiesa.
- E si sente ancora socialista?
Certo, ma senza partito.
Recentemente, Darina Laracy, la moglie di Silone, ha affermato: “Sarebbe tradire Silone se qualcuno se ne appropriasse come è stato fatto in passato. Silone appartiene all’Uomo”.
Solo con simili premesse, si può dire qualcosa della dimensione religiosa della personalità e della produzione letteraria di Ignazio Silone in modo rispettoso. La sua profonda personalità e, soprattutto, la sua complessa vicenda ideale e politica hanno fatto discutere di lui in vita ed ancor oggi, a cento anni dalla nascita (Pescina, 1 maggio 1900). Certo è che la sua figura è diventata sempre più popolare anche in ambito cattolico. Eppure è ben nota la sua matrice socialista, mai rinnegata nemmeno quando, nel 1930, consumò lo “strappo” dal partito comunista italiano del quale fu co-fondatore.
La formazione cristiana di Silone e il suo tessuto ideale evangelico restò sempre discretamente presente anche se, nella mentalità e nella pratica, essere socialista significava ripudiare il cristianesimo. In verità, Silone ricercò una pratica sociale del cristianesimo e, insieme, ricercò un’anima ed una speranza cristiana del socialismo. Questo si risolse in una tensione interiore e progettuale altissima. Egli fu esule e solitario rispetto alle istituzioni e ai progetti ai quali pur si appassionò. E questo, non perché chiuso ma, al contrario, perché troppo aperto e grande di cuore e di intelligenza. Solo l’arte gli permise di esprimere al meglio l’anima, la ribellione e il progetto che aveva dentro.
E’ stato Giancarlo Vigorelli, forse, il primo critico letterario a mettere sull’avviso della dimensione religiosa del pensiero e dell’opera di Silone. “Questo uomo che ha legato il suo nome alla storia e alla polemica politica di quasi cinquant’anni – ha osservato presentando, nel 1965,
Uscita di sicurezza -, e questo scrittore che ha scritto i suoi libri parallelamente alle esperienze politiche e che deve la sua fama al loro messaggio social-politico, risulta uno scrittore essenzialmente religioso. Quello che pareva un naturalismo è un realismo evangelico, e quello che risultava un populismo è piuttosto un messianismo”.
La adolescenza di Secondo Tranquilli – questo è il suo vero nome fino ai 23 anni – fu segnata dagli eventi del disastroso terremoto della Marsica, nel 1915: rimase senza genitori e senza casa, senza sicurezze economiche e umane. «Io ho avuto la fortuna di vivere un certo tempo accanto a un santo», confiderà Silone al drammaturgo Diego Fabbri ricordando il periodo trascorso in una casa di Don Orione, a San Remo, nel periodo difficile della giovinezza. Gli restò una simpatia, di più, una sintonia con Don Orione assai forte. “Aveva di Don Orione un ricordo travolgente”, come ricordava ancora Angelo Vallesi.
Lasciato Don Orione e la fede professata, stabilitosi a Roma, Silone iniziò la sua vivace attività politica e letteraria. Aderì giovanissimo al partito socialista. Nel 1921 fu tra i fondatori del partito comunista italiano, dal quale poi clamorosamente prese le distanze nel 1930. Per sottrarsi alla persecuzione fascista, emigrò in Svizzera, dove rimase fino al 1945. Rientrato in Italia fu eletto deputato nel partito socialista; diresse il giornale "Avanti" e la rivista
"Tempo presente" fino a quando lasciò definitivamente la militanza politica.
Inquieto nella sua ricerca di verità e di giustizia, coerente e autonomo nel perseguirle, Silone,
"cristiano senza Chiesa e socialista senza partito", disse di stimare, al di sopra di tutti
"Trostzki, perché non era il rivoluzionario del sabato sera e Don Orione perché non era il cristiano della domenica mattina". Lo confidò a Douglas Hyde, anch’egli socialista, anch’egli esule dal partito comunista inglese da lui stesso fondato (cfr.
Nella carità cristiana la chiave della vera giustizia in
L’Osservatore Romano, 17.1.1997, p.7)
Bruno Formentin nel suo saggio
“Il rapporto strutture-libertà nell’opera di Ignazio Silone” (1973) fa risalire all’incontro con Don Orione, uno dei più tipici rappresentanti del sacerdozio cattolico moderno, la nascita, almeno embrionale, della critica di Silone alle strutture. “Il ritratto di uno strano prete, cioè di Don Orione, illumina sul tipo di carità e di giustizia che Silone sente congeniale”, riconosce A. Garosci (in
Ignazio Silone: fedeltà e solitudine, 1965).
Anche I. Howe vede nell’incontro con Don Orione l’evento che risulterà determinante nella evoluzione del pensiero siloniano. Quel prete sarà “la figura che perseguiterà la sua fantasia, il prete francescano che vive come un cristiano delle origini e che in questo si accosta alla situazione del rivoluzionario, che si è liberato del dogma” (in
The most reflective of radical democrats, 1969). Infatti, Don Orione, “il sacerdote non conformista”, fu da Silone descritto nel famoso capitolo
“Incontro con uno strano prete” di
“Uscita di sicurezza” , ma anche in Don Benedetto di
“Vino e pane” , in Don Nicola di
“Una manciata di more” e in Don Serafino di
“Il segreto di Luca” . Ed è riconoscibile anche nella suora sconosciuta che, nella penombra di una chiesa, dice a Pietro Spina – alter ego letterario di Silone in
“Vino e pane” – parole che Silone adolescente udì da Don Orione stesso.
“- Fatevi coraggio, nessuno è provato dal Signore al di là delle sue forze. Sapete pregare?
- No.
- Pregherò io per voi. Credete in Dio?
- No.
- Lo pregherò io per voi. Egli è il Padre di tutti, anche di quelli che non credono in lui!”.
Documenti d’archivio, tra i quali una quindicina di lettere autografe del giovane Silone a Don Orione, sono oggetto di un saggio di Giovanni Casoli di prossima pubblicazione. “Don Orione è stato un gigante della carità e Silone un gigante della libertà - afferma Casoli -, però una libertà nella coscienza. Incontrandosi, non poterono non restare ammirati e affezionati l’uno dell’altro. Senza pretendere l’uno di indurre l’altro al proprio ruolo storico, hanno condiviso ideali largamente comuni di civiltà e di spiritualità”. Forse nuove luci verranno da questo epistolario e permetteranno di meglio conoscere la singolare vicenda umana, letteraria e politica di Silone che ha subìto oltre alla scomunica politica da parte del partito comunista (1931), anche una certa emarginazione letteraria da parte della cultura.
Vale per tutta la produzione siloniana l’osservazione di Giancarlo Vigorelli all’apparire de
“L’avventura di un povero cristiano” : “Il suo libro, integro e perfetto, mette a soqquadro, non occasionalmente, l’establishment di quella letteratura italiana per la quale la problematica etico-religiosa è da secoli diventata un tabù” (
Silone e l’avventura di un povero Cristiano, 1968).